venerdì 30 novembre 2012

NEWS IN PILLOLE


Il salasso dell'Imu
Per tanti agricoltori sarà un vero salasso. Parliamo del saldo Imu, che dovrà essere effettuato entro il prossimo 17 dicembre. Per prima cosa il contribuente deve verificare cosa prevedono delibere e regolamenti comunali in merito al calcolo dell'imposta; i comuni, infatti, avevano tempo fino al 31 ottobre scorso per pubblicare le aliquote. Per quanto riguarda i fabbricati strumentali, dopo aver versato con la prima rata il 30% dell'importo previsto, ora è la volta del restante 70%. Inoltre adesso dovrà essere pagata l'intera imposta riferita ai fabbricati rurali che nel frattempo sono stati accatastati all'urbano, per i quali nulla era dovuto con la prima rata.
 
Ogm: l’Efsa boccia definitivamente Seralini
L’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha pubblicato la valutazione conclusiva dell’articolo del ricercatore francese Eric Seralini che aveva destato preoccupazioni circa la potenziale tossicità del mais geneticamente modificato NK603 e di un erbicida contenente glifosato, affermando l’esistenza di un legame tra l’esposizione a tali sostanze e un incremento dell’incidenza di tumori nei ratti. L’esame conclusivo dell’Efsa conferma la valutazione iniziale secondo cui le conclusioni degli autori non possono essere considerate come scientificamente fondate a causa dell’inadeguatezza della progettazione, della descrizione e dell’analisi dello studio come esposto nell’articolo. Non è quindi possibile trarre conclusioni valide circa l’insorgenza di tumori nei ratti esaminati.
 
Cereali,il 6% diventa biofuel
Oltre il 6% dei cereali prodotti nel mondo diventa biocarburante. È quanto è emerso da una elaborazione del Barilla Center for Food and Nutrition (Bcfn), che stima la produzione cerealicola attuale in 2,245 miliardi di tonnellate in crescita a 2,633 miliardi di tonnellate al 2020, quando le derrate alimentari destinate a produzione agroenergetica saranno oltre il 7%. «Un paradosso del nostro tempo che non possiamo più permetterci se 868 milioni di persone non hanno cibo» ha detto Riccardo Valentini, membro del panel intergovernativo sul cambiamento climatico.

 


Newsletter dall'Informatore Agrario
 
 

sabato 24 novembre 2012

NEWS IN PILLOLE


Catania in esclusiva: niente strappi sull’uso dei fitofarmaci
Proseguendo nella sua opera di informazione su un tema importantissimo per il lavoro degli agricoltori nei prossimi anni, quello del recepimento della direttiva comunitaria sull’uso sostenibile degli agrofarmaci, L’Informatore Agrario ha posto al ministro Mario Catania alcune domande sui principali temi in discussione: dagli oneri a carico degli agricoltori, ai vincoli in alcuni casi troppo rigidi. La nuova normativa, dice il ministro, garantirà la sicurezza degli operatori e la tutela della salute senza introdurre inutili gravami burocratici sulle imprese agricole e per garantire i controlli funzionali su macchine e attrezzature si sta lavorando sulla riorganizzazione e sul potenziamento del servizio in tutte le regioni. La bozza del Pan, il Piano di azione nazionale, ricorda Catania, è comunque disponibile sul sito del Mipaaf e fino al 31 dicembre sarà possibile inviare osservazioni e suggerimenti di modifica.
 
La terra coltivata non è una rendita
Secondo l’Accademia dei georgofili «i terreni agricoli coltivati costituiscono un bene strumentale, sempre più prezioso e insostituibile, che va progressivamente riducendosi anche per la crescente urbanizzazione delle campagne, con una cementificazione irreversibile. Ai fini fiscali non possono essere considerati patrimonio da rendita, ma come uno dei tanti strumenti indispensabili per conseguire un reddito da lavoro».
 
Sull’Imu serve certezza
«I produttori devono sapere quanto pagare di Imu agricola, il Governo rispetti gli impegni assunti». Lo chiede il presidente della Cia, Giuseppe Politi, in una lettera inviata al sottosegretario all'economia, Vieri Ceriani, preoccupato per la «babele» di decisioni adottate dai Comuni, alcuni dei quali hanno portato l'aliquota al livello più alto (10,6 per mille) sui terreni agricoli. Aliquote che, spiega la Cia, non possono però ritenersi definitive in quanto il Governo ne ha stabilito l'eventuale revisione entro il 10 dicembre, sulla base dell'andamento del gettito Imu della prima rata e delle risultanze dell'accatastamento dei fabbricati rurali i cui termini scadono il 30 novembre.
 
Via libera ai fondi europei per il terremoto
La conferma a quanto deciso dai 27 Paesi Ue la scorsa settimana è venuta oggi: Il Consiglio affari generali ha dato il suo via libera formale allo stanziamento di 670 milioni di aiuti per l'Emilia-Romagna colpita dal terremoto dello scorso maggio. Nei giorni precedenti alcuni Paesi avevano sollevato obiezioni in merito e per questo l’Italia, per bocca del premier Mario Monti, aveva chiesto, ottenendolo, il sostegno del presidente della Commissione Barroso e a quello dell’Europarlamento Schulz.

Newsletter dall'Informatore Agrario
 
 

venerdì 23 novembre 2012

SONO APERTE LE ISCRIZIONI AL PRIMO CORSO SUL GUSTO

IL MOLISE A TAVOLA TRA SAPORI E TRADIZIONI
"Un Molise divino"
 




Il progetto si pone l’obiettivo di sensibilizzare i giovani, in particolar modo studenti, ma anche consumatori, alla scoperta della qualità delle produzioni alimentari della Regione Molise e delle relative risorse territoriali. Il percorso formativo si svolgerà presso l’Istituto Tecnico San Pardo di Larino (CB) per le lezioni frontali, attraverso la messa a disposizioni di locali e laboratori, mentre la parte applicativa si svolgerà, attraverso visite guidate, presso le aziende produttrici e mediante partecipazione a incontri e seminari tematici. Le lezioni vedranno l’apporto tecnico-scientifico di docenti dell’Istituto, di professionisti del settore, anche afferenti all’associazione ex-allievi dell’Istituto Agrario di Larino, oltre che da operatori direttamente impegnati nelle singole filiere produttive. Il progetto verterà sulla filiera vino, di cui saranno trattati, in maniera organica, tutti gli aspetti dalla produzione alla trasformazione, mettendo in risalto il legame con il territorio. Inoltre, particolare attenzione sarà data all’analisi sensoriale come strumento di valutazione della qualità, all’abbinamento con la cucina locale, alla lettura delle etichette, alle principali frodi alimentari e alla sostenibilità ambientale. A tutti i partecipanti verrà consegnato un attestato di frequenza, il materiale didattico su CD/DVD, oltre alla stesura di un opuscolo divulgativo, a cura degli stessi, con il materiale del corso.
 

 




ORGANIZZAZIONE DIDATTICA

1° Modulo: Storia e cultura del vino (Origine della viticoltura e mito del vino come contributo nello sviluppo della civiltà occidentale, la domesticazione della vite selvatica. Contributo dell’archeobotanica e delle moderne tecniche di biologia molecolare. Le scoperte archeologiche in Molise.)
2° Modulo: La coltivazione della vite (principi di biologia e fisiologia, sistemi di allevamento e avversità. Visite aziendali su sistemi di potatura e allevamento.)
3° Modulo: La vinificazione (biochimismo del processo fermentativo, microbiologia e tecnica enologica. Affinamento e vini speciali. Analisi di laboratorio. Visite in cantine.)
4° Modulo: Analisi sensoriale e abbinamento cibo/vino (Principi di analisi sensoriale, fisiologia dei sensi ed addestramento alla percezione. Gli aromi del vino, tecnica di degustazione e abbinamento cibo-vino.)
5° Modulo: Enografia, enoturismo e strade del vino (Vitigni autoctoni e vini di qualità. Principali regioni vitivinicole italiane ed internazionali. Le denominazioni di origine e i consorzi di tutela. La Tintilia e il Molise enologico. Il vino come leva per lo sviluppo turistico di una destinazione.)
6° Modulo: Il gusto della moderazione, le frodi alimentari, HACCP e tracciabilità di filiera (Aspetti nutrizionali e salutistici. Il rapporto vino-alcool ed educazione al consumo consapevole. Uso e abuso di alcool. Principali frodi alimentari sul vino, il sistema di autocontrollo, le certificazioni di qualità e sistemi di rintracciabilità di filiera.)
7° Modulo: Realizzazione di un logo ed elaborazione del prodotto finale (Creazione di un’etichetta e del relativo logo. Raccolta del materiale realizzato con cui predisporre l’opuscolo divulgativo e il CD/DVD- ROM)
 
 
 


Il corso, così come strutturato, prevedrà una lezione settimanale pomeridiana, per un totale di 63 ore circa di lezioni frontali, da concordare volta per volta in base alle diverse esigenze, della durata variabile tra le 2 o 3 ore, in base alla tema trattato. L’inizio delle lezioni avverrà, presumibilmente, per la metà del mese di dicembre 2012, mentre il termine è previsto per la metà del mese di maggio 2013. Data e orari definitivi verranno comunicati in maniera tempestiva appena possibile, dopo la raccolta delle iscrizioni. L'inizio, presumibilmente, è previsto nella settimana tra il 10 e il 15 dicembre.

Per info: chiedere del dott. Di Maria Sebastiano ai numeri 0874/822211 e 0874/822160 o attraverso la mail scuoladelgustolarino@gmail.com

 

domenica 18 novembre 2012

SALVARE L'OLIVICOLTURA ITALIANA E LA SUA RICCA BIODIVERSITA'

L'Agromillora Iberia, azienda vivaistica storica, leader nel campo dell'olivicoltura superintensiva, ha organizzato la manifestazione "Olio  in  campo", dalla raccolta delle olive alla spremitura in frantoio, presso Borgo  Incoronata (FG), nella giornata di ieri, 17 novembre 2012, sulle cultivar Arbequina e Arbosana.





Riporto la mia email di risposta all'invito che mi ha inviato il rappresentante di l'Agrimolla Iberia cioè, come lui ci tiene a sottolineare, "l'azienda vivaistica storica, leader nel campo dell'olivicoltura superintensiva", di partecipare a una manifestazione di presentazione dei "grandi" risultati ottenuti con solo due varietà classiche della Spagna "Arbequina" e "Arbosana" che, con l'olivicoltura intensiva, sono destinate a colonizzare l'olivicoltura mondiale, a partire da quella italiana. Alla faccia del nostro straordinario patrimonio di biodiversità che ci vede leader assoluti nel mondo con oltre 500 varietà autoctone, pari al doppio del patrimonio mondiale.


 





Faccio appello a quanti hanno a cuore questo patrimonio soprattutto nostro, ma anche di altri paesi del Mediterraneo (la Spagna compresa), a contrastare un disegno dei padroni dell'olio, fra i quali anche i titolari dell'Agrimolla Iberia, che è quello di azzerare le differenze, le diversità, cioè i valori, come il dialetto, la lingua, le tradizioni che, come si sa, sono le espressioni più autentiche di un territorio insiema all'ambiente ed ai paesaggi. Le diversità di cui si nutre l'uomo per non sentirsi trasformare in un oggetto di puro consumismo guidato da altri. Senza la diversità non c'è libertà. Rivolgo questo appello agli olivicoltori italiani e alle loro associazioni, consorzi, cooperative, Unioni; alle organizzazioni professionali - in primo luogo la CIA ed l'Associazione Nazionale delle Città dell'Olio, che hanno condiviso con me il progetto "Olivoteca d'Italia", l'oliveto della biodiversità, con le città dell'olio impegnate nella difesa del paesaggio olivicolo - alle Università, al mondo dell'enogastronomia; agli organi di informazione; agli uomini di cultura ed alle istituzioni i vari livelli, perchè tutt'insieme si adoperino a non far passare questo tentativo di colonizzazione dei nostri territori olivetati.  Serve attivare subito tutte le azioni di informazione e controinformazione. Serve altresì realizzare progetti atti a dare spazio alla biodiversità, alla ricchezza organolettica degli oli prodotti, alla salvaguardia dei gusti e delle tradizioni con le mille cucine espresse e segnate dall'olio.Si tratta di bloccare subito questo disegno che non aiuta la nostra olivicoltura ma a limitarla fortemente dando ai territori identità uniformi sotto ogni aspetto. Ed ecco la mia email di immediata risposta al rappresentante della ditta spagnola che, volentieri, pongo alla vostra attenzione.

Scorcio di paesaggio olivicolo a Larino
Foto storica raccolta delle olive

Egregio Dr. Rutigliano,
grazie per l’invito ma non ci sarò. E’ l’inizio della colonizzazione della nostra olivicoltura da parte della Spagna con il rischio dell’abbandono dei nostri oliveti marginali che sono tanta parte della olivicoltura italiana e di quel straordinario patrimonio di biodiversità olivicola che è, questo sì, il nostro vero futuro.
I miei saluti

Pasquale Di Lena
 


 

venerdì 16 novembre 2012

ESTRATTO VIDEO DELLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI PASQUALE DI LENA



 
 

NEWS MERCATI (Settimana n° 45/2012)


Cereali - Ultime quotazioni alla produzione

Andamento nazionale

Mercato di Foggia



Andamento annuale


Cereali - Prezzi medi alla produzione




Olio extravergine d'oliva


Ortaggi




Oleaginose






Fonte: ISMEA


giovedì 15 novembre 2012

NEWS IN PILLOLE


Dal Consiglio europeo una mazzata sulla pac
Se 8 miliardi sembravano tanti, cosa pensare di 25? Stiamo parlando dei tagli al bilancio della pac per il 2014-2020 e della proposta lanciata dal presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy sulla riduzione del budget dell’Ue, che va ben oltre le già pesanti decurtazioni proposte da Commissione e presidenza di turno cipriota. Lo stesso commissario Dacian Ciolos ha parlato di un «salto indietro di 30 anni, che va contro lo sforzo di rendere la pac più equa, più verde, più efficiente». In effetti il documento del Consiglio parla di ampliamento del criterio di distribuzione degli aiuti diretti non basandolo solo sulla superficie, ma con tagli di questo genere è difficile immaginare la tanto annunciata riforma forte in grado di rilanciare l’agricoltura europea.
 
Tagli al gasolio agricolo
Franco Verrascina, presidente Copagri: «Credo che le nostre istituzioni, e nella fattispecie il Parlamento, continuino a manifestare una miopia davvero grave e preoccupante nei confronti del settore dell'agricoltura, che invece, in questi anni di profonda crisi ha più volte dimostrato che se fosse sostenute da una seria ed organica politica nazionale potrebbe fare la sua parte nel superamento della stessa crisi e per una prospettiva di ripresa e di sviluppo. Già tartassati da oneri fiscali e contributivi che mettono repentaglio la tenuta delle imprese agricole ora si paventa un'altra misura particolarmente stringente per le possibilità dei nostri produttori agricoli: la riduzione del contingente di gasolio agricolo nella misura del 10%. A noi non stava bene neanche il 5% del testo originario, ma così è troppo».
 
Prima conta dei danni del maltempo
Con il ritiro delle acque si contano i danni che nelle campagne potrebbero arrivare a 100 milioni di euro a causa degli allagamenti, frane e smottamenti che hanno colpito le infrastrutture nelle aree rurali, le coltivazioni agricole, ma anche causato la morte di animali, devastato stalle, serre, cantine e impianti di trasformazione alimentare, dalla Toscana al Lazio, dall’Umbria al Veneto. Nel fare un primo approssimativo bilancio dell’ondata di maltempo la Coldiretti chiede che siano avviate le procedure per la richiesta dello stato di calamità nelle zone colpite e l’esonero dai contributi previdenziali e tributari.
 
Via libera al Pacchetto qualità
Il Consiglio ecofin, composto dai ministri europei dell’economia, ha approvato il Pacchetto qualità per i prodotti agricoli e agroalimentari sulla base dell'accordo raggiunto in prima lettura dal Consiglio con il Parlamento europeo. i principali elementi del regolamento prevedono un rafforzamento dell'attuale normativa per dop e igp; una profonda riforma delle stg (specialitaà tradizionali garantite) e un nuovo quadro normativo per nuove denominazioni opzionali che forniscano ai consumatori ulteriori informazioni. Agra Press

Newsletter dall'Informatore Agrario
 
 

lunedì 12 novembre 2012

FOTO STORICHE

Abbiamo ricevuto, stamattina, delle foto storiche di alcuni studenti di qualche anno fa del nostro glorioso Istituto. Cogliamo l'occasione per chiedervi se avete delle testimonianze fotografiche del vostro corso di studi, che vogliate condividere, previa autorizzazione, naturalmente. Vi ricordiamo che il blog è aperto a tutti, anche senza iscrizione preventiva, ognuno può lasciare la propria testimonianza. Crediamo che il motto del blog "non c'è futuro senza memoria", sia emblematico, proprio in un momento così delicato per le sorti della nostra scuola. Abbiamo bisogno del sostegno di tutti coloro che hanno lasciato un pezzo della loro vita su quei banchi.
Un saluto cordiale dall'associazione a tutti gli ex-studenti.
 
 
 
 


lunedì 15 ottobre 2012

LA FIERA DEI GIOVANI

Neanche la pioggia battente, inclemente per certi tratti, ha intaccato la tenacia e lo spirito dei ragazzi dell’Istituto Tecnico “San Pardo” di Larino che nella mattinata di venerdì, con la partecipazione di un gruppo di studenti del Liceo “F. D’Ovidio” della stessa città, hanno dato vita a una manifestazione che ha colorato la piazza principale con le tinte della natura, rievocando un’antichissima pratica che già in epoca romana era diffusissima, quella della pigiatura dell’uva con i piedi. La “festa dell’uva”, come l’hanno battezzata la Prof.ssa Annarita De Notariis e la Prof.ssa Giovanna Civitella, organizzatrici dell’evento, si è andata a inserire nel contesto della 270^ Fiera d’Ottobre, manifestazione nata nel lontano 1742, per mano di Carlo III, Re delle Due Sicilie, che decretò l’istituzione di quello che sarebbe stato uno degli appuntamenti fieristici più importanti del centro-sud Italia. Il poeta larinese Ernesto De Rosa la ricorda in questo modo: “una grande ripercussione su tutti i mercati”, perché “treni carichi di animali si portavano da Larino, nei centri più importanti d’Italia”.
 
 
Scorcio di Piazza del Popolo
 
Proprio le origini e le tradizioni contadine di un appuntamento che nei secoli scorsi era punto di passaggio per tutti quelli che, attraverso i tratturi, compievano la transumanza verso la vicina Puglia, sono state rievocate dagli studenti come collante tra passato e presente, come amalgama tra la cultura popolare e la storia. Come detto poc’anzi, con la pigiatura a piedi nudi dell’uva e con essa la pianta della vite, si è voluto riportare alla memoria una tradizione storica di questa terra, che affonda radici in epoca romana, dove la città di Larinum (Urbs princeps frentanorum) ne è un chiaro testimone con ritrovamenti archeologici che certificano la presenza della vite e del vino nel tessuto sociale di quell’epoca. I ragazzi dell’Istituto Tecnico “San Pardo” si sono prodigati nell’operazione di pigiatura con i piedi, tecnica che tutt’oggi è eseguita in alcune realtà territoriali, come per i produttori di vini biodinamici, vista la delicatezza dell’intervento rispetto alle moderne tecnologie, nel rispetto della natura del prodotto e della terra. Anche alcune studentesse del Liceo, a dispetto di qualche evoluto benpensante che sostiene che certe attività non abbiano niente a che fare con la cultura classica, si sono volute cimentare nell’operazione e di buon grado hanno apprezzato le proprietà organolettiche della spremuta d’uva, oltre a parte della cittadinanza convenuta, che opportunamente fermentata riesce a dare un prodotto, il vino, simbolo di convivialità e legame con la terra. 
 
 
Ragazzi alle prese con la pigiatura dell'uva
 
Altro momento di coinvolgimento sono stati balli folk, eseguiti sempre dai ragazzi dei due istituti scolastici, tra suoni e melodie del passato e del presente, che hanno rievocato tradizioni popolari contadine che accompagnavano la raccolta e la trasformazione dell’uva e i momenti di convivialità attorno ad un bicchiere di vino. Si è trattato di un momento di folklore, di gioia e di giubilo, all’interno di una manifestazione fieristica che, forse causa la congiuntura economica avversa o per gli strascichi giudiziari che l’hanno anticipata, si presentava in tono minore.
 
Esibizione di balli folk
Particolarmente apprezzata, dal folto pubblico, è stata la possibilità di degustare i prodotti della tradizione contadina, e in particolar modo i vini di Angelo D’Uva, vignaiuolo in Larino, e l’olio extravergine da olive della varietà “Gentile di Larino”, prodotto dallo stesso Istituto.
Un piccolo encomio, anche se autoreferenziale, per il sottoscritto che ha fornito l'uva utilizzata per la pigiatura, nella fattispecie della varietà Montepulciano, che alla misura rifrattometrica ha dato un valore di 24,2 gradi Babo (percentuale di zucchero in peso, g di zucchero contenuto in 100 g di mosto) che, con un semplice calcolo empirico, darà un vino con un valore potenziale in alcool pari a 14,50%. Non male, eh?
Al termine della rappresentazione, dopo gli elogi della cittadinanza e delle rappresentanze istituzionali presenti, le promotrici dell'iniziativa già si sono messe al lavoro per una nuova edizione da bissare nel 2013, ricca di nuovi spunti.
Un particolare ringraziamento va al Dirigente Scolastico Prof. Paolo A. Santella, ad Enrica Luciani delle cantine Angelo D'Uva, al personale tecnico-amministrativo dell'Istituto Tecnico "San Pardo", agli studenti dell'Istituto Tecnico "San Pardo" e a quelli del Liceo "Francesco D'Ovidio".
Con l'augurio di una rinnovata veste della manifestazione che, insieme all'Istituto Agrario, unico della regione, facciano da traino ad una realtà agricola, pregna di valori e tradizioni, ma ancora poco apprezzata all'esterno.
 
Sebastiano Di Maria
 
 


giovedì 13 settembre 2012

L'ALTRA TINTILIA


Nell'edizione pomeridiana del TG3 regionale del giorno 6 settembre, in pieno clima vendemmiale, è andato in onda un servizio sul futuro della vitivinicoltura molisana e in particolare sulle sorti della Tintilia, l’autoctono simbolo dell’enologia regionale. Non conoscendone il contenuto, sono andato alla ricerca del video che mette a nudo, dopo aver tessuto lodi e incensato il vitigno e il relativo vino da più parti in questi ultimi anni, non senza stupore, un vero e proprio malcontento in diversi produttori che, per chi vive quotidianamente questa realtà come il sottoscritto, sono più di un semplice campanello di allarme. In un periodo di crisi e di contrazione del mercato, che in generale non ha intaccato il sistema vitivinicolo nazionale, si osserva, di contro, un’inversione di tendenza per le cantine private della regione che si sono approvvigionate negli anni delle uve prodotte da terzi, in particolare di Tintilia, per far fronte all’aumento della domanda. Le difficoltà oggettive di vendita del vino Tintilia in questo periodo, come affermato dai viticoltori intervistati, fa vacillare, di fatto, questo mercato trasversale che teneva in vita parte della vitivinicoltura regionale, o di quello che resta dopo la mattanza dell’estirpazione massiccia che ha portato la superficie dai 9.236 Ha del 1982 ai 4.173 Ha del 2010 (dati del censimento agricoltura ISTAT 2010).
 
 
Partiamo da lontano e cerchiamo di capire quali sono i fattori che hanno determinato questo saldo negativo del 29%, solo nel decennio 2000/2010, sulla superficie viticola e sullo sviluppo del mercato enologico regionale, in particolar modo per la Tintilia. Come già ho avuto modo di parlarne in altri articoli, la Tintilia ha rappresentato il vero punto di svolta del comparto vitivinicolo regionale, non tanto per il recupero del materiale genetico o delle aree interne e marginali, di cui era padrona indiscussa fino agli anni ’50 tanto che l’attuale territorio della regione Molise era il più vitato del centro-sud con oltre 22.000 Ha, ma soprattutto come simbolo di un’unità enologica territoriale ben determinata, un grimaldello che potesse aprire nuovi scenari di mercato e fare uscire un’identità territoriale pressoché sconosciuta. Il primo errore fu commesso, dopo la riforma fondiaria, con la conversione delle aree marginali interne a cerealicoltura e lo sviluppo di una viticoltura estensiva nel basso Molise, votata alla quantità più che alla qualità, per scelte politico-produttive, come dimostra l'utilizzo del sistema d’impianto a tendone, che decretano la nascita di grandi cantine cooperative. Purtroppo questa scelta si è dimostrata fallimentare, non tanto per la qualità delle produzioni o della laboriosità dei viticoltori, mai in discussione, ma quanto per scelte politiche ed economico-organizzative che hanno trasformato delle solide realtà cooperativistiche, o presunte tali, in veri e propri bacini di voti e in un coacervo d’interessi personali e di sperpero di denaro pubblico. Questa miopia ha portato, di contro, ed eccoci arrivati ai giorni nostri, a una crescita forte di cantine private che, grazie a una territorialità inespressa e a un vitigno a essa intimamente legato, hanno dato nuova linfa a un settore ormai in decadenza. Ed ecco i primi riconoscimenti per diversi vini, tra cui la Tintilia, e per diverse cantine della regione, fino a qualche decennio fa ad appannaggio di una sola realtà territoriale. Bisognava cavalcare l’onda ed ecco, quindi, nuovi impianti di vigneti e riconversioni varietali con il vitigno Tintilia a farla da padrone, anche grazie all’aiuto comunitario contenuto nella relativa OCM e sotto l'azione della politica agricola regionale. Tutti, a diverso titolo, addetti e non, hanno “cavalcato” l’onda emotiva distogliendo lo sguardo, probabilmente decisivo, di una corretta opera promozionale e di marketing che non tenesse conto dei diversi campanili, che purtroppo esistono. E non bastano dichiarazioni di comunità d’intenti sulla necessità di una strategica opera di marketing, come si evince dalle interviste che i singoli produttori rilasciano. A titolo esemplificativo, per esempio, c’è chi ha deciso di affidarsi a firme dell’enologia internazionale come chiave del successo e chi, invece, si trova a lottare quotidianamente, spesso in prima persona, per cercare di mantenere o di non perdere quote di mercato. Qual è la promozione strategica regionale? Qual è il ruolo e quali sono le attività svolte dal Consorzio di tutela dei vini della regione Molise? Cosa sono le strade del vino, e mi sono stancato di dirlo, se non delle fredde tabelle, peraltro di difficile interpretazione, poste ai bordi delle strade della regione?
 
Fonte: I numeri del vino
 
Certo, ci sono diverse persone che cercano di mettersi a servizio delle aziende e del territorio spendendo la propria professionalità e il proprio bagaglio personale, come l’amico Pasquale Di Lena, già segretario generale dell’enoteca italiana di Siena, che tanto sta dando in termini di visibilità all’intero territorio regionale e alle sue ricchezze storico-culturali ed enogastronomiche. Dai produttori intervistati, quindi, è lampante un sentimento di scoramento e d’impotenza di fronte all’evolversi del mercato: essere costretti a estirpare un vitigno di cui si sono visti incentivare la riconversione o il nuovo impianto. Purtroppo qualcosa scricchiola e non è solo da imputare all’agonia delle realtà cooperativistiche regionali, costrette ad accontentarsi di mercati marginali o di medio-basso profilo, peraltro avvalorato dal fuggi-fuggi verso realtà del vicino Abruzzo (ma qualche produttore non parlava di un rischio concreto di scippo della IGP Osco o Terre degli Osci?) o dalla svendita sul mercato delle proprie uve per realtà produttive ben lontane dalla nostra, soprattutto per il Trebbiano, ma in parte anche per il Montepulciano.  Da cosa dipende tutto ciò? La mia piccola esperienza, al di fuori dei confini regionali, ha messo a nudo una realtà che ai miei occhi poteva sembrare diversa. Non mi riferisco assolutamente alla qualità e alla bontà delle nostre produzioni di qualità, mai messa in discussione, ma quanto ad una visibilità pressoché nulla. Il punto che forse si è trascurato maggiormente, e che non mi stancherò mai di ripetere, è rappresentato dai volumi di prodotto da immettere sul mercato, troppo piccoli perché possano diffondere capillarmente già nel solo territorio nazionale. Basti pensare che la DOC Montepulciano d’Abruzzo, per fare un esempio a noi vicino, diffusa e conosciuta in campo internazionale, nel 2010 ha denunciato oltre 10.000 Ha d’impianti e circa 900.000 ettolitri di vino. Ed è solo una delle denominazioni, anche se tra le più grandi d’Italia, e il confronto dei numeri è impietoso. Da dove partire allora? Intanto radicando il consumo del vino e della Tintilia già in ambito regionale attraverso una comunione d’intenti, su cui c’è ancora molta diffidenza e scarso appeal ad appannaggio del Montepulciano come vitigno, più diffuso e di qualità indiscussa.


 
Naturalmente mi riferisco al “consumatore quotidiano”, alle nuove generazioni, e non ai soloni della degustazione o presunti tali, di cui pullula la medio - alta borghesia enofila, educarli a un consumo consapevole, alla riscoperta del territorio, sdoganando il concetto di vino come bene di lusso, cosa che molte aziende stanno facendo anche come tendenza del mercato ma che non rispecchia la realtà. Solo con una consapevolezza maggiore delle proprie potenzialità a 360°, coinvolgendo anche altre produzioni di qualità indiscussa, come olio extravergine e tartufo, solo per citarne alcuni, in un contesto di ruralità senza eguali in termini percentuali nel nostro paese, si può immaginare di uscire da un sostanziale stato di anonimità che, aimè, tranne qualche distinguo più frutto di opera individuale, è tangibile al di fuori dei confini regionali.

Sebastiano Di Maria
molisewineblog@gmail.com



giovedì 26 luglio 2012

BERE VINO FA DAVVERO MALE?

Non nascondo che trattando, con quest’articolo, un argomento di stretta attualità e pieno d’insidie, con l’obiettivo di fare un po’ di chiarezza, si corra il rischio di incappare in scivoloni o creare allarmismi, perché tale è lo stato dell’arte, frutto di scontri dialettici, e non solo, tra addetti al settore e responsabili di sanità pubblica, tra estimatori e detrattori, tra fautori e puritani. Non parlo di politica, né tantomeno di economia, ma di qualcosa che, nel bene o nel male, a diverso titolo, appassiona e avvicina sempre più gran parte dei consumatori a un mondo nuovo, ricco di mille sfaccettature, che ci riporta, se vogliamo, alle origini e alla riscoperta e/o rivalutazione della terra e dei suoi frutti, fatta di territori straordinari ed esempio di laboriosità e passione. Naturalmente mi riferisco al vino e alla sua ascesa come “status symbol” del bel paese, non tanto quanto protagonista sulle nostre tavole ma piuttosto come simbolo del turismo enogastronomico, vero motore della vacanza Made in Italy nel periodo di crisi. A dire il vero, chi ha avuto modo di leggere i miei articoli sul blog o sul Ponte online, si renderà conto che parte di quello che scriverò nelle prossime righe, è stato già affrontato in diversa misura e sviscerato in modo da renderlo comprensivo ai più, dalla nuova normativa sul vino biologico, sul dualismo tra vini convenzionali e vini naturali, sulle nuove frontiere della vinificazione in assenza di solfiti ecc. Un aspetto che ancora non avevo trattato in maniera organica, anche se non sono mancati, come dicevo, accenni in diversi articoli, è quello che riguarda l’effetto del consumo del vino sulla salute del consumatore, dagli effetti dell’alcool fino a quello dei vari elementi presenti, frutto del normale processo fermentativo o da aggiunte di coadiuvanti tecnologici. In realtà avevo già in mente di affrontare di petto questo tema spinoso nei mesi scorsi, dopo il polverone innalzatosi dal messaggio di Jonathan Nossiter, regista del documentario Mondovino, che sul magazine GQ definiva “tossico” un vino non naturale con tutti i risvolti che la cosa ha portato. Tra quelli che ho seguito con maggiore attenzione, perché ricco di spunti e argomentazioni, anche se estremamente tecnicistico, c’è quello scritto dall’amica Anna Pancheri su Trentino Wine Blog che invito tutti ad andare a leggere: “Se il vino è veleno la disinformazione uccide”. Tralasciando il discorso degli effetti dell’alcool sulla salute del consumatore a luoghi e con interlocutori più consoni, cui purtroppo il vino non si sottrae come bevanda alcolica (solo 13-14% di alcool in volume), anche se ingiustamente colpevolizzato e additato da detrattori come simbolo di tutti i mali, cerchiamo di capire quali sono i punti critici di una produzione che, dopo la mezza “bufala” sugli effetti "miracolosi" di polifenoli e resveratrolo, possono essere pericolosi per l’uomo. L’onda emotiva che agita il settore, riassumibile con la crescita del fronte “bere naturale”, non si è placata, anzi, proprio in questi giorni è stato pubblicato un articolo sull’Espresso dal titolo “Puro come vino” (che centri qualcosa il metodo Purovino di qui ho parlato nel mio blog?), che cerca di tracciare delle linee guida su come bere senza pericoli. La lettura dello stesso è servita come spunto per la quadratura del cerchio su una serie di concetti espressi negli articoli precedenti, grazie al contributo, questa volta, di massimi esperti del settore. Andiamo per gradi e cerchiamo di comprenderne al meglio i contenuti.



L’introduzione è di quelle che non lasciano respiro, “tutto fuorché una spremuta di uva invecchiata e profumata”, ponendo l’accento su quelle che sono il numero delle sostanze “chimiche” naturalmente presenti o aggiunte in vinificazione, ben oltre 600. E via giù con un elenco di quelle più comuni, da enzimi e lieviti, naturalmente presenti sull’uva, in generale, ma che nella comune pratica sono aggiunti, opportunamente selezionati e purificati, in base all’obiettivo enologico da raggiungere, aggiungo io, per finire ad alcuni coadiuvanti tecnologici indispensabili per l’estrinsecarsi delle qualità di un vino, dalla migliore DOC fino al vino biologico, ossia sostanze stabilizzanti (chiarificanti proteici o minerali, gomma arabica), antiossidanti (solforosa, tannini, glutatione), esaltatori di aromi e colore (complessi enzimatici), antischiumogeni (lieviti selezionati anche se detto così ha fatto paura anche a me) e così via. A dipanare la matassa ci pensa uno dei massimi esperti nazionali in materia vitivinicola, il Prof. Mario Fregoni, già Ordinario di Viticoltura presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, che sentenzia: “il vino migliore è quello naturale, ossia quello cui non si aggiunge nulla che non sia già presente”, anche se la dicitura “vino naturale”, aggiungo, non esiste come categoria merceologica e pertanto l’eventuale qualifica a fini commerciali è una forma di frode. Ed ecco quindi ripresentarsi il tema dell’etichettatura che, secondo l’autore dell’articolo sull’Espresso, rappresenta il “vero salvavita” per il consumatore, ma che vista la complessità risolverebbe solo in parte la problematica, com’è stato per i solfiti, di cui ritengo debba essere aggiunto in etichetta la quantità presente (utopia?). Per i vini prodotti e/o imbottigliati dall’1 luglio 2012, inoltre, scatta l’indicazione in etichetta degli allergeni (derivati di latte e/o uova) contenuti nei coadiuvanti enologici utilizzati durante la fermentazione e l’affinamento dei vini allo scopo evitare torbidità e fenomeni ossidativi.

Simboli da mettere in etichetta (OIV)

Il vero nodo cruciale, sempre secondo l’autore, sono i solfiti, fondamentali nel processo fermentativo, presenti anche naturalmente perché generati dalla normale attività fermentativa dei lieviti, che sono, come precisa Cinzia Le Donne, nutrizionista dell’Istituto Nazionale per la Ricerca sugli Alimenti e la Nutrizione,responsabili di possibili reazioni pseudo-allergiche, in particolar modo nei soggetti asmatici, particolarmente sensibili, che possono manifestare crisi respiratorie mentre nelle persone non asmatiche i sintomi possono essere soprattutto cutanei e gastrointestinali”. In effetti, se la quantità supera i 10 mg/l sulla bottiglia, deve essere indicato “Contiene solfiti” (dir. 2003/89/CE, recepita in Italia con d.lgs. 114/2006) e, anche per un vino prodotto in maniera naturale (senza aggiunte), spesso tale limite è raggiunto e anche l’indicazione “senza solfiti aggiunti” potrebbe non essere risolutiva perché difficilmente dimostrabile. In sintesi, come sostenuto dal sottoscritto, anche la nutrizionista dell’INRAN pone l’accento sulla necessità di indicare in etichetta il residuo contenuto in bottiglia, in modo da comprendere se ci sono pochi grammi o decine di volte tanto, anche perché c’è da tener conto della Dga, la cosiddetta “dose giornaliera ammissibile”, che non va superata anche alla luce della presenza dei solfiti in altre bevande e cibi (aceto, frutta secca). Purtroppo, anche la normativa sul vino biologico non ha posto un freno a tale pratica, lasciando, di fatto, dei limiti ancora molto alti, come avete avuto modo di leggere nei miei precedenti articoli e che invito eventualmente a rileggere per completezza d’informazione.
Altro aspetto, come già anticipato, è quello degli allergeni da indicare in etichetta dall’1 luglio (in quantità superiore a 0,25mg/l) in seguito ad attività di chiarifica del vino, che per alcuni esperti rappresenta un discorso di lana caprina, vista l’eventuale presenza in tracce dopo i normali cicli di filtrazione, mentre il problema potrebbe sussistere, eventualmente, per quelli non filtrati (Svizzera e Canada sono di quest’avviso). Sulla base della documentazione scientifica e delle ricerche disponibili, però, non si è potuto escludere con certezza la presenza nel vino di residui di albumine e caseine, anche dopo i normali processi di filtrazione cui il vino è sottoposto, tali da provocare reazioni avverse, pur deboli, in soggetti allergici a latte e uova. La norma, contenuta nel regolamento UE n. 1266/2010 (direttiva 2007/68/CE), prevede, quindi, l’indicazione della presenza di derivati del latte o delle uova utilizzati nel processo tecnologico del tipo “contiene uovo o derivati dell’uovo”, “contiene lisozima da uovo” o ancora “contiene derivati del latte o proteine del latte”. Molti produttori, per evitare allarmismi, preferiranno usare altre sostanze chiarificanti (consentite) di origine minerale o gelatine a base di colla di pesce, per le quali non è previsto alcun obbligo di indicazione.

Additivi nel bicchiere (da l'Espresso: "Puro come il vino")
Dei discorsi a parte, infine, meriterebbero le contaminazioni esterne dovute a residui di antiparassitari o ad aflatossine prodotte dal metabolismo delle muffe di cui mi limiterò a un semplice accenno, riservandomi, se possibile, una trattazione più organica e comprensibile in altri articoli. Per quanto riguarda il discorso antiparassitario, con l’applicazione delle tecniche di lotta integrata, basata sull’alternanza e la complementarietà di metodi chimici, fisici e biologici, oltre alla “selezione di specie più resistenti, conversione delle macchine irroratrici e tecniche di viticoltura di precisione (attraverso modelli matematici) si ha la possibilità di ridurre l’uso dei fitofarmaci solo quando indispensabili”, come sostenuto dal Prof. Stefano Poni, Ordinario di Viticoltura all’Università del Sacro Cuore di Piacenza.
Per quanto riguarda le micotossine, invece, il problema è di carattere generale giacché riguarda molte derrate alimentari (caffè, birra, insilati di cereali come mais e grano) e il vino non si sottrae da tale logica, anche se il relativo contenuto è notevolmente inferiore (fino a 150 volte) rispetto agli altri alimenti. L’OcratossinaA (OTA), prodotta principalmente da muffe appartenenti ai generi Aspergillus e Penicillium, cui si aggiunge la nuova categoria delle fumonisine (FBs), può derivare da attacchi massici di oidio o di botrite alla vite. Essendo, quindi, strettamente legata alla sanità delle uve, il rischio si riduce perché da uve pessime difficilmente si può ottenere un buon vino. Nel settore enologico c’è molta attenzione sulla questione e in diverso modo si sta operando per un controllo efficace, sia in campo agronomico sia enologico.
Per terminare, alla luce di quanto sopra, com’è possibile individuare un vino di bassa qualità? Innanzitutto il consumatore può affidarsi ai marchi certificati come le DOP, sulle quali i controlli sono severi lungo tutta la filiera, perché nessun produttore oggi può permettersi il danno derivante da frodi, truffe, intossicazioni, spiega ancora il Prof. Mario Fregoni, finendo che per il prezzo è meglio diffidare di quelli troppo bassi trattandosi, di fatto, di vini ottenuti da vinacce comprate chissà dove e poi trattate anche con procedimenti illegali come l’aggiunta di zucchero”. Tutto giusto, per carità, ma personalmente non andrei alla cieca e non trascurerei le visite alle cantine e delle belle chiacchierate con i produttori, meglio se piccoli e vignaioli, perché prodotti di qualità ci sono anche a prezzi contenuti e viceversa. Bere consapevole fa buon sangue, purché con moderazione. Prosit.


Sebastiano Di Maria
sebastianodm@alice.it


lunedì 2 luglio 2012

MOLISE FUTURO PROSSIMO

Alla “tre giorni” promossa dalla rivista “il bene Comune” nella Sala della Costituzione della Provincia di Campobasso, è stato sottolineato da più parti il valore ed il significato del Territorio e la necessità di ripartire da esso se si vuole assicurare un futuro al Molise.
C’è da dire che, pur trovando molto interessante l’iniziativa per il Molise e per la situazione di pesante crisi che solo uno sforzo d’idee e di sogni può risolvere, una tre giorni non basta, ce ne vorrebbe una ogni settimana.
Uno sforzo di riflessione di gruppo sulla condizione di questa nostra piccola grande regione che, per le sue dimensioni e la sua fragilità politico-amministrativa corre rischi maggiori di altre, e, che più di altre ha bisogno di tracciare un suo percorso completamente opposto a quello attuale. Se la sovrastruttura di questo percorso ha bisogno, come ho già detto, d’idee e sogni, la struttura non può che essere il territorio molisano.


Un territorio, per fortuna, ancora ricco di ruralità e di agricoltura, di ambienti e paesaggi, storia e cultura, antiche tradizioni, che possono, tenendo conto anche delle modeste dimensioni dello stesso, far pensare a una crescita innovativa, ecosostenibile, in grado di dare occupazione; a una razionalizzazione e modernizzazione dei servizi; a una informazione come bene comune al servizio dei cittadini e della partecipazione democratica.
Una “tre giorni” d’intenso dibattito con personaggi di rilievo, ricercatori ed esperti, che hanno dato un contributo notevole al raggiungimento degli obiettivi di questo primo incontro e mostrato il valore di una scelta, che ha la necessità di ripetersi per diventare un vero e proprio laboratorio d’idee, un momento di creatività che serve per costruire il futuro, da domani.


 
Idee e creatività che, salvo encomiabili eccezioni, non fanno parte del patrimonio politico-culturale di una classe dirigente (non solo politica) che ha pensato allo sfruttamento delle risorse, arrivate copiosamente da Roma o da Bruxelles, più per sistemare il bilancio personale e familiare, quasi mai per contribuire a costruire il futuro di questa nostra regione, e, nel caso della politica, per spartire queste risorse e distribuirle al solo fine di accaparrarsi i consensi per la propria sopravvivenza politica.

Una cultura radicata da tempo che non riguarda solo una parte ma la sua totalità, per niente facile estirpare se non attraverso un’attenta analisi della realtà e la ricerca di soluzioni alternative.
Per un “Molise futuro prossimo” c’è bisogno di una classe dirigente all’altezza del compito, cioè capace di sviluppare con passione e professionalità il suo ruolo nella ricerca, certo, di un utile personale ma, prima ancora, di quello della collettività; progettare e programmare il futuro di questa nostra regione dove i giovani hanno smesso di pensarlo, visto che sono costretti a partire per non rimanere disoccupati per tutta la vita.

Una classe politica soffocata dalla logica del favoritismo in cambio del voto non ha niente da dare –come l’esperienza di questi anni dimostra - al futuro prossimo del Molise, se non quello di far crescere i rischi di svuotamento delle potenzialità che questa nostra regione ha.
Ieri, venerdì, la chiusura di questo “brainstorming” che ha bisogno di un’attenta valutazione per definire e assicurare la sua continuità perché possa diventare uno (spero di tanti) strumento di stimolo per un rinnovamento reale della classe dirigente che è così nel Molise, come altrove, frutto dei tempi che viviamo e di un sistema che è fallito e, come tale, impossibile da aggiustare.


 
C’è da pensare subito a dare le basi a un altro sistema, che, forte dell’esperienza maturata, tenga conto dei limiti imposti dalla natura e dal rispetto che essa merita. Una necessità se vogliamo continuare a respirare aria sana; a bere acqua pulita; ad avere cibo di qualità legata al territorio, cioè all’origine; godere il paesaggio e la ricchezza della sua biodiversità; avere la cognizione del tempo; vivere la diversità e contrastare l’idea di un livellamento, soprattutto culturale delle genti, dei popoli; conservare il nostro dialetto, la nostra lingua e tutti gli altri segni della nostra identità.

Queste e altre riflessioni che meritano il confronto, l’approfondimento; di essere comunicate perché la loro diffusione semini cultura. Essa è indispensabile per governare una realtà come il Molise che ha tutto per essere uno straordinario laboratorio e, soprattutto, un esempio per altre regioni, altre realtà, nel momento in cui il percorso di un “Molise futuro prossimo” è iniziato.



giovedì 21 giugno 2012

DIETA MEDITERRANEA MARCHIO DI QUALITÀ

Il Cilento è un luogo mitico che merita di essere visitato con un’attenzione particolare per tutto quello che esso può dare alla sensibilità del visitatore. Con la parte posta ad est, l’antica Lucania, quella del Diano, forma un immenso parco di 180.000 ettari.

Comune di Pollica (SA), all'interno del Parco del Cilento

Un territorio stupendo di monti ingialliti di ginestre e, più in basso, di dolci colline olivetate e vitate che, da Agropoli a Sapri per 100 chilometri di scogliere scoscese e ampie spiagge, scivolano nel mare Tirreno. A chiudere, a sud, il territorio della Provincia di Salerno che, a nord, da Positano a Vietri, ha, come altra faccia di una stessa medaglia, per altri quaranta chilometri, la costiera amalfitana. Due esempi della natura domata dall’uomo nel segno, però, del rispetto reciproco e di un rapporto che ha sempre avuto le sue basi nel pensiero per il domani. Le azioni e il sacrificio di Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, che ha pagato con la vita questo suo innato senso del rispetto, stanno dimostrando. In totale 220 chilometri di mare che, dall’alto di Pollica, si possono ammirare in tutta la sua ampiezza, spaziando da Capri e Punta Campanella a Palinuro come a toccare con mano il Mediterraneo, le sue scie di civiltà e di scambi commerciali, soprattutto degli oli, dei vini e dei grani. I tre prodotti basilari, insieme alla frutta e alle verdure, dei suoi modelli alimentari che il Cilento ha saputo raccogliere e, grazie, alle ricerche di un americano, Ancel Keys, di sua moglie Margaret e altri studiosi, presentare al mondo intero come uno stile di vita (dieta) proprio del Mediterraneo. Uno straordinario patrimonio culturale che l’Unesco, con il suo riconoscimento del novembre 2010 a Nairobi, ha voluto dedicare all’umanità quale punto di riferimento e, anche, tutela del patrimonio stesso. A giugno sono tornato in questi luoghi, ancora una volta in rappresentanza delle Città dell’Olio, ospite di una manifestazione “The village doc festival”, per parlare di olio nel “Dibattito sulla dieta mediterranea – la tavola delle esperienze, visioni e proposte per valorizzare il patrimonio enogastronomico e culturale”.


Il Sen. Alfonso Adria

Un incontro molto interessante che ha avuto come protagonista Alfonso Andria, vicepresidente della Commissione agricoltura del Senato, già presidente della Provincia di Salerno, con la presentazione di un importante disegno di legge “Disposizioni per la valorizzazione e la promozione della dieta mediterranea”, che, se approvato, può servire a recuperare il tempo perso dal 16 novembre 2010, la data che ha sancito a Nairobi, in Kenia, la “Dieta” bene dell’umanità, ad oggi. Tempo perso, dicevamo, che ha visto tutti i protagonisti, istituzionali e privati, come paralizzati, incapaci di cogliere il valore e il significato di questo riconoscimento così fondamentale per le nostre eccellenze alimentari e l’immagine della nostra cucina, la comunicazione e la commercializzazione degli stessi. L’unica iniziativa che ha fatto proprio questo riconoscimento e l’ha bene utilizzato è stata, fino a quando (2012) non l’hanno cancellata, la “Maratona del gusto e delle bellezze d’Italia” di Casa Italia Atletica, promossa da Fidal servizi nelle occasioni dei grandi eventi di atletica, come campionati del mondo ed europei, meeting e maratone, da Madrid a quella di New York.



Il disegno di legge n° 3310, presentato, non a caso, in anteprima a Pollica, che vede il Sen. Andria promotore e primo firmatario, si compone di soli sette articoli con: il primo che si pone la finalità di contribuire a tutelare e promuovere la dieta mediterranea in quanto modello culturale e sociale fondato su un insieme di competenze, conoscenze, pratiche e tradizioni legate all’alimentazione e al vivere insieme a stretto contatto con l’ambiente naturale; il secondo che dà una definizione di       «dieta mediterranea», in linea con il dossier presentato dai quattro Paesi promotori della candidatura al patrimonio culturale immateriale UNESCO; l’articolo 4 che istituisce la «Giornata Nazionale della dieta mediterranea – patrimonio dell'umanità» da celebrare ogni anno e su tutto il territorio nazionale il 16 novembre, quale occasione per diffondere e dare risalto ai valori della dieta mediterranea; l’art. 6 che istituisce e disciplina il marchio “dieta mediterranea - patrimonio dell’umanità”. Intorno ad esso ruota il successo dell’iniziativa nel momento in cui riesce a dare al consumatore e al mercato le garanzie di qualità di cui hanno bisogno.
Un successo che serve alla nostra agricoltura per uscire dalla crisi e alle sue eccellenze dop, igp e biologiche -tanta parte di questa “dieta” - per vincere sui mercati insieme all’immagine del nostro Paese e dei territori di origine di cui sono testimoni importanti.

Pasquale Di Lena


 

lunedì 11 giugno 2012

AGRICOLTURA E TERRITORIO: SPUNTI DI RIFLESSIONE

Avete avuto modo di seguire tramite Blog, Facebook e carta stampata gli appuntamenti che hanno tenuto banco, nella settimana dedicata alle problematiche del mondo agricolo, presso l’Istituto Tecnico Agrario di Larino. Si è parlato di temi cruciali quali l’IMU, attraverso una chiave di lettura tecnico/normativa che ha fugato dubbi e paure, per lo più figlie di cattiva informazione, di sperimentazione in campo cerealicolo, punto di forza dell’attività dell’Istituto e dell’intero comparto agricolo regionale, ma non è mancato, in conclusione, il punto di vista di un uomo che ha speso gran parte della propria vita nella gestione delle problematiche del mondo agricolo, dando lustro a produzioni e territori nella sua opera promozionale e storico/culturale. Naturalmente mi riferisco a Pasquale Di Lena, larinese doc, agronomo e politico, poeta e profondo conoscitore del mondo rurale, scrittore e produttore di olio. Quale modo migliore per concludere gli appuntamenti sul futuro del mondo agricolo, davanti ad una platea formata soprattutto da giovani studenti dell’unica istituzione scolastica ad indirizzo tecnico-agrario della regione, di cui lo stesso autore ne è uno dei figli più illustri, con i futuri tecnici e operatori del settore, se non attraverso le pagine di un libro che parla ai giovani? E’ questo lo slogan della CIA (Confederazione italiana agricoltori), organizzazione sindacale di cui l’autore ne è stato uno dei fondatori e che cura la pubblicazione del volume.


L’autore ripercorre, per tappe, la sua vita dedicata al mondo agricolo, ponendo l’accento su quella che è stata l’esperienza che più lo ha segnato, quella più stimolante, quella come dirigente del mondo agricolo vicino ai coltivatori e mezzadri della Toscana, sua terra adottiva, dentro le loro case, nelle loro aziende imparando a conoscerne i valori che tanto gli ricordavano la terra natia. Da lì parte la sua attività di creatore e ideatore di progetti vincenti, come l’Associazione nazionale delle città dell’olio fondata nella sua Larino, di cui è ideatore e Presidente onorario, giusto per citarne una, oltre che di incarichi prestigiosi, in particolar modo quella come Segretario Generale dell’Ente Mostra Vini - Enoteca italiana di Siena.
Dopo questa doverosa premessa, cercherò di analizzare, a grandi linee, il contenuto del volume, anche attraverso le parole dell’autore, cercandone spunti di riflessione.
“Serve l’agricoltura per uscire dalla crisi”, è questo il filo conduttore che accomuna la raccolta di articoli contenuti nel volume, pubblicati su stampa locale e nazionale, cercando di riscoprire la centralità della stessa all’interno di un contenitore straordinario che è il territorio. Paradossalmente, in un momento storico segnato da un costante e lento abbandono dell’attività agricola, a cui fa seguito una diminuzione significativa della superficie coltivata per esigenze che nulla hanno che fare con le produzioni agricole, c’è una parte dell’agroalimentare che dà lustro e rafforza il brand “Made in Italy” anche attraverso la riscoperta di territori straordinari, quel terroir, termine tanto caro ai transalpini, che è il contenitore e l’espressione della qualità. Mi riferisco, naturalmente, al vino e al ricco patrimonio in biodiversità viticola, unica al mondo, che si traduce in un numero di denominazioni d’origine straordinarie per qualità ed espressione territoriale, che portano il nostro paese, tenendo conto anche degli altri comparti, a primeggiare in Europa e nel mondo. In effetti, a voler essere precisi, dei punti deboli ci sono anche nel settore enologico e sono legati, per lo più, a cattive strategie di marketing, figlie di campanilismi e scelte produttive che poco tutelano territori e biodiversità. In tal senso andrebbe fatto di più e meglio, come lo stesso autore ne è testimone nella sua puriennale esperienza in materia promozionale, cercando di porre al centro il territorio, straordinario contenitore di cultura, storia e tradizioni. Anche il Molise non si sottrae da tale logica, anche se la riscoperta di una propria identità enologica, attraverso la Tintilia, frutto anche della scommessa di un manipolo di giovani produttori, quei giovani che l’autore esorta a “utilizzare l’agricoltura per programmare il proprio futuro”, ha gettato le basi per fare uscire la regione e il suo straordinario territorio, che Di Lena individua come “caso studio di ruralità in ambito nazionale”, da una sostanziale situazione di anonimato. Non tanto perché lo dice il sottoscritto, anche se la mia recente esperienza in proposito fatta di viaggi studio nei più importanti territori enologici italiani e francesi ne conferma la situazione, ma perchè sono gli stessi produttori a confermarlo, come ho potuto constatare di persona all’ultimo Vinitaly. Abbiamo un territorio ed una vocazionalità, se vogliamo, potenzialmente superiori a molte aree più blasonate, anche se scelte scellerate ne hanno in parte violentato l’aspetto e fiaccato l’anima. Purtroppo i numeri ci sono contro, sia in termini di bottiglie prodotte che di territorio vitato, in forte contrazione per via di estirpazioni massicce, figlie di una realtà cooperativistica per lo più fallimentare o ai margini del settore. E’ necessaria, quindi, un’opera di promozione che accomuni tutte le realtà produttive regionali in un unico marchio e perché ciò sia possibile ci vuole coesione e comunità d’intenti, anche da parte di chi ritiene la cosa come un freno o una zavorra, avendo già un proprio brand affermato che nulla a che fare con il territorio. Mi riferisco ad una situazione inaccettabile riscontrata al Vinitaly, di cui ho già avuto modo di parlare nel mio blog in questo articolo, dove alcune aziende hanno preferito sistemazioni diverse da quella messa a disposizione dalla Camera di Commercio della Regione Molise (già microscopica se confrontata ad altre realtà). Altra nota dolente che l’autore rimarca e che il sottoscritto condivide, è l’utilizzo della Tintilia come mero strumento commerciale, decretando, di fatti, la nascita di obbrobri che nulla hanno a che fare con la storia del vitigno, come il rosato, lo spumante o il passito, oltre alla possibilità di estenderne il disciplinare ad areali che, storicamente, nulla hanno a che fare con la coltivazione del vitigno. Non a caso, ad un seminario sul progetto “Talento” a cui ho preso parte, il responsabile marketing con un sottile sogghigno ironico mi ha chiesto se eravamo riusciti in Molise a fare uno spumante a base di Tintilia ed io, non senza imbarazzo, ho dovuto annuire senza batter ciglio. Neanche questa è la strada giusta per valorizzare un territorio e le sue peculiarità, cercando di inseguire mode o estremizzando la tecnica enologica con winemaker (enologi) di grido, ottenendo solo il risultato di dare un’immagine distorta della realtà. I riconoscimenti e le professionalità ci sono, un territorio invidiabile e un patrimonio storico-culturale di primissimo livello anche, manca solo un amalgama sapiente dei singoli ingredienti per poter emergere, sotto un unico marchio o brand.


Pasquale Di Lena
Cosa che invece è in fase di lancio, di cui lo stesso autore ne è l'ideatore, è un progetto di promozione, questa volta in campo oleario, con la creazione del marchio Molisextra che raccoglie singoli produttori e realtà cooperatistiche, con l’unico obiettivo di promuovere l’olivicoltura e l’olio molisano, che passa attraverso la tutela del territorio e del paesaggio olivicolo, dei borghi e dei dialetti che accompagno un rituale antico in una terra che ha fatto la storia dell’olivicoltura. In questo caso la Regione Molise è un vero e proprio scrigno di ricchezze con ben 18 varietà autoctone, tra cui spicca l’Aurina di Venafro, quella che gli antichi romani conoscevano come “Licinia” in omaggio al grande condottiero Licinio che la introdusse, nel IV secolo a.C., in quel territorio straordinario che è il “Parco storico dell’olivo di Venafro”. E poi l’altra cultivar storica, la Gentile di Larino, vero simbolo dell’eccellenza regionale e della relativa DOP.
L’olio, il vino e altre eccellenze alimentari sono un vero e proprio patrimonio del nostro paese, l’essenza della nostra cucina e l’espressione più alta della dieta mediterranea (patrimonio culturale dell’umanità, UNESCO), non a caso il Ministro Ornaghi considera le nostre eccellenze alla stregua dei beni culturali, come lo steso autore più volte sottolinea. La nostra regione rappresenta, quindi, un piccolo scrigno in ricchezza di prodotti e ruralità (olio, vino, tartufo, salumi, formaggi e latticini), quello che potrebbe essere un esempio per tutti attraverso la riscoperta dell’agricoltura (regione con il miglior rapporto abitante/territorio rurale) e la sua centralità, attraverso la creazione di infrastrutture ricettive, opera di promozione e marketing gestita da consorzi di tutela, che non siano semplici entità astratte di facciata, creazione di percorsi turistici ed enogastronomici tra borghi e territori, tra tratturi e cantine, non tramite quelle fredde tabelle sparse per le vie della regione.  

Concludo riassumendo quello che è stato il messaggio della giornata, che l’autore e gli altri interlocutori hanno voluto trasmettere ad una platea composta soprattutto da studenti dell’Istituto Agrario, futuri interpreti del mondo agricolo. I giovani hanno in mano il futuro e devono saper cogliere l’opportunita di rimettere al centro l’agricoltura, sia come programmazione del proprio futuro, sia per dare lustro a produzioni preservando ruralità, territori e cultura, ma anche perché il mondo ha bisogno di attività agricola come principale fonte di alimentazione. Una corretta gestione del comparto, attraverso un minor uso di energie e risorse (impatto ambientale), elimando gli sprechi, figli di un’economia di profitto, potrà far fronte alla fame nel mondo, tema centrale che la Fao ha sviluppato in questi giorni a RIO+20 con il tema: “Verso il futuro che vogliamo: fermare la fame e attivare la transizione verso sistemi agricoli e di cibo sostenibile”.

Sebastiano Di Maria