mercoledì 12 dicembre 2012
venerdì 30 novembre 2012
NEWS IN PILLOLE
Il salasso dell'Imu
Per tanti agricoltori sarà un vero salasso. Parliamo del saldo Imu, che dovrà
essere effettuato entro il prossimo 17 dicembre. Per prima cosa il contribuente
deve verificare cosa prevedono delibere e regolamenti comunali in merito al
calcolo dell'imposta; i comuni, infatti, avevano tempo fino al 31 ottobre scorso
per pubblicare le aliquote. Per quanto riguarda i fabbricati strumentali, dopo
aver versato con la prima rata il 30% dell'importo previsto, ora è la volta del
restante 70%. Inoltre adesso dovrà essere pagata l'intera imposta riferita ai
fabbricati rurali che nel frattempo sono stati accatastati all'urbano, per i
quali nulla era dovuto con la prima rata.
Ogm: l’Efsa boccia definitivamente Seralini
L’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha pubblicato la valutazione conclusiva dell’articolo del ricercatore francese Eric Seralini che aveva destato preoccupazioni circa la potenziale tossicità del mais geneticamente modificato NK603 e di un erbicida contenente glifosato, affermando l’esistenza di un legame tra l’esposizione a tali sostanze e un incremento dell’incidenza di tumori nei ratti. L’esame conclusivo dell’Efsa conferma la valutazione iniziale secondo cui le conclusioni degli autori non possono essere considerate come scientificamente fondate a causa dell’inadeguatezza della progettazione, della descrizione e dell’analisi dello studio come esposto nell’articolo. Non è quindi possibile trarre conclusioni valide circa l’insorgenza di tumori nei ratti esaminati.
L’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha pubblicato la valutazione conclusiva dell’articolo del ricercatore francese Eric Seralini che aveva destato preoccupazioni circa la potenziale tossicità del mais geneticamente modificato NK603 e di un erbicida contenente glifosato, affermando l’esistenza di un legame tra l’esposizione a tali sostanze e un incremento dell’incidenza di tumori nei ratti. L’esame conclusivo dell’Efsa conferma la valutazione iniziale secondo cui le conclusioni degli autori non possono essere considerate come scientificamente fondate a causa dell’inadeguatezza della progettazione, della descrizione e dell’analisi dello studio come esposto nell’articolo. Non è quindi possibile trarre conclusioni valide circa l’insorgenza di tumori nei ratti esaminati.
Cereali,il 6% diventa biofuel
Oltre il 6% dei cereali prodotti nel mondo diventa biocarburante. È quanto è emerso da una elaborazione del Barilla Center for Food and Nutrition (Bcfn), che stima la produzione cerealicola attuale in 2,245 miliardi di tonnellate in crescita a 2,633 miliardi di tonnellate al 2020, quando le derrate alimentari destinate a produzione agroenergetica saranno oltre il 7%. «Un paradosso del nostro tempo che non possiamo più permetterci se 868 milioni di persone non hanno cibo» ha detto Riccardo Valentini, membro del panel intergovernativo sul cambiamento climatico.
Oltre il 6% dei cereali prodotti nel mondo diventa biocarburante. È quanto è emerso da una elaborazione del Barilla Center for Food and Nutrition (Bcfn), che stima la produzione cerealicola attuale in 2,245 miliardi di tonnellate in crescita a 2,633 miliardi di tonnellate al 2020, quando le derrate alimentari destinate a produzione agroenergetica saranno oltre il 7%. «Un paradosso del nostro tempo che non possiamo più permetterci se 868 milioni di persone non hanno cibo» ha detto Riccardo Valentini, membro del panel intergovernativo sul cambiamento climatico.
Newsletter dall'Informatore Agrario
sabato 24 novembre 2012
NEWS IN PILLOLE
Catania in esclusiva: niente strappi sull’uso dei fitofarmaci
Proseguendo nella sua opera di informazione su un tema importantissimo per il
lavoro degli agricoltori nei prossimi anni, quello del recepimento della
direttiva comunitaria sull’uso sostenibile degli agrofarmaci, L’Informatore
Agrario ha posto al ministro Mario Catania alcune domande sui principali temi in
discussione: dagli oneri a carico degli agricoltori, ai vincoli in alcuni casi
troppo rigidi. La nuova normativa, dice il ministro, garantirà la sicurezza
degli operatori e la tutela della salute senza introdurre inutili gravami
burocratici sulle imprese agricole e per garantire i controlli funzionali su
macchine e attrezzature si sta lavorando sulla riorganizzazione e sul
potenziamento del servizio in tutte le regioni. La bozza del Pan, il Piano di
azione nazionale, ricorda Catania, è comunque disponibile sul sito del Mipaaf e
fino al 31 dicembre sarà possibile inviare osservazioni e suggerimenti di
modifica.
La terra coltivata non è una rendita
Secondo l’Accademia dei georgofili «i terreni agricoli coltivati costituiscono un bene strumentale, sempre più prezioso e insostituibile, che va progressivamente riducendosi anche per la crescente urbanizzazione delle campagne, con una cementificazione irreversibile. Ai fini fiscali non possono essere considerati patrimonio da rendita, ma come uno dei tanti strumenti indispensabili per conseguire un reddito da lavoro».
Secondo l’Accademia dei georgofili «i terreni agricoli coltivati costituiscono un bene strumentale, sempre più prezioso e insostituibile, che va progressivamente riducendosi anche per la crescente urbanizzazione delle campagne, con una cementificazione irreversibile. Ai fini fiscali non possono essere considerati patrimonio da rendita, ma come uno dei tanti strumenti indispensabili per conseguire un reddito da lavoro».
Sull’Imu serve certezza
«I produttori devono sapere quanto pagare di Imu agricola, il Governo rispetti gli impegni assunti». Lo chiede il presidente della Cia, Giuseppe Politi, in una lettera inviata al sottosegretario all'economia, Vieri Ceriani, preoccupato per la «babele» di decisioni adottate dai Comuni, alcuni dei quali hanno portato l'aliquota al livello più alto (10,6 per mille) sui terreni agricoli. Aliquote che, spiega la Cia, non possono però ritenersi definitive in quanto il Governo ne ha stabilito l'eventuale revisione entro il 10 dicembre, sulla base dell'andamento del gettito Imu della prima rata e delle risultanze dell'accatastamento dei fabbricati rurali i cui termini scadono il 30 novembre.
«I produttori devono sapere quanto pagare di Imu agricola, il Governo rispetti gli impegni assunti». Lo chiede il presidente della Cia, Giuseppe Politi, in una lettera inviata al sottosegretario all'economia, Vieri Ceriani, preoccupato per la «babele» di decisioni adottate dai Comuni, alcuni dei quali hanno portato l'aliquota al livello più alto (10,6 per mille) sui terreni agricoli. Aliquote che, spiega la Cia, non possono però ritenersi definitive in quanto il Governo ne ha stabilito l'eventuale revisione entro il 10 dicembre, sulla base dell'andamento del gettito Imu della prima rata e delle risultanze dell'accatastamento dei fabbricati rurali i cui termini scadono il 30 novembre.
Via libera ai fondi europei per il terremoto
La conferma a quanto deciso dai 27 Paesi Ue la scorsa settimana è venuta oggi:
Il Consiglio affari generali ha dato il suo via libera formale allo
stanziamento di 670 milioni di aiuti per l'Emilia-Romagna colpita dal terremoto
dello scorso maggio. Nei giorni precedenti alcuni Paesi avevano sollevato
obiezioni in merito e per questo l’Italia, per bocca del premier Mario Monti,
aveva chiesto, ottenendolo, il sostegno del presidente della Commissione Barroso
e a quello dell’Europarlamento Schulz.
Newsletter dall'Informatore Agrario
venerdì 23 novembre 2012
SONO APERTE LE ISCRIZIONI AL PRIMO CORSO SUL GUSTO
IL MOLISE A TAVOLA TRA SAPORI E TRADIZIONI
"Un Molise divino"
Il progetto si pone l’obiettivo di sensibilizzare i giovani, in particolar modo studenti, ma anche consumatori, alla scoperta della qualità delle produzioni alimentari della Regione Molise e delle relative risorse territoriali. Il percorso formativo si svolgerà presso l’Istituto Tecnico San Pardo di Larino (CB) per le lezioni frontali, attraverso la messa a disposizioni di locali e laboratori, mentre la parte applicativa si svolgerà, attraverso visite guidate, presso le aziende produttrici e mediante partecipazione a incontri e seminari tematici. Le lezioni vedranno l’apporto tecnico-scientifico di docenti dell’Istituto, di professionisti del settore, anche afferenti all’associazione ex-allievi dell’Istituto Agrario di Larino, oltre che da operatori direttamente impegnati nelle singole filiere produttive. Il progetto verterà sulla filiera vino, di cui saranno trattati, in maniera organica, tutti gli aspetti dalla produzione alla trasformazione, mettendo in risalto il legame con il territorio. Inoltre, particolare attenzione sarà data all’analisi sensoriale come strumento di valutazione della qualità, all’abbinamento con la cucina locale, alla lettura delle etichette, alle principali frodi alimentari e alla sostenibilità ambientale. A tutti i partecipanti verrà consegnato un attestato di frequenza, il materiale didattico su CD/DVD, oltre alla stesura di un opuscolo divulgativo, a cura degli stessi, con il materiale del corso.
ORGANIZZAZIONE DIDATTICA
1° Modulo: Storia e cultura del vino (Origine della viticoltura e mito del vino come contributo nello sviluppo della civiltà occidentale, la domesticazione della vite selvatica. Contributo dell’archeobotanica e delle moderne tecniche di biologia molecolare. Le scoperte archeologiche in Molise.)
2° Modulo: La coltivazione della vite (principi di biologia e fisiologia, sistemi di allevamento e avversità. Visite aziendali su sistemi di potatura e allevamento.)
3° Modulo: La vinificazione (biochimismo del processo fermentativo, microbiologia e tecnica enologica. Affinamento e vini speciali. Analisi di laboratorio. Visite in cantine.)
4° Modulo: Analisi sensoriale e abbinamento cibo/vino (Principi di analisi sensoriale, fisiologia dei sensi ed addestramento alla percezione. Gli aromi del vino, tecnica di degustazione e abbinamento cibo-vino.)
5° Modulo: Enografia, enoturismo e strade del vino (Vitigni autoctoni e vini di qualità. Principali regioni vitivinicole italiane ed internazionali. Le denominazioni di origine e i consorzi di tutela. La Tintilia e il Molise enologico. Il vino come leva per lo sviluppo turistico di una destinazione.)
6° Modulo: Il gusto della moderazione, le frodi alimentari, HACCP e tracciabilità di filiera (Aspetti nutrizionali e salutistici. Il rapporto vino-alcool ed educazione al consumo consapevole. Uso e abuso di alcool. Principali frodi alimentari sul vino, il sistema di autocontrollo, le certificazioni di qualità e sistemi di rintracciabilità di filiera.)
7° Modulo: Realizzazione di un logo ed elaborazione del prodotto finale (Creazione di un’etichetta e del relativo logo. Raccolta del materiale realizzato con cui predisporre l’opuscolo divulgativo e il CD/DVD- ROM)
Il corso, così come strutturato, prevedrà una lezione settimanale pomeridiana, per un totale di 63 ore circa di lezioni frontali, da concordare volta per volta in base alle diverse esigenze, della durata variabile tra le 2 o 3 ore, in base alla tema trattato. L’inizio delle lezioni avverrà, presumibilmente, per la metà del mese di dicembre 2012, mentre il termine è previsto per la metà del mese di maggio 2013. Data e orari definitivi verranno comunicati in maniera tempestiva appena possibile, dopo la raccolta delle iscrizioni. L'inizio, presumibilmente, è previsto nella settimana tra il 10 e il 15 dicembre.
Per info: chiedere del dott. Di Maria Sebastiano ai numeri 0874/822211 e 0874/
domenica 18 novembre 2012
SALVARE L'OLIVICOLTURA ITALIANA E LA SUA RICCA BIODIVERSITA'
L'Agromillora Iberia, azienda vivaistica storica, leader nel campo dell'olivicoltura superintensiva, ha organizzato la manifestazione "Olio in campo", dalla raccolta delle olive alla spremitura in frantoio, presso Borgo Incoronata (FG), nella giornata di ieri, 17 novembre 2012, sulle cultivar Arbequina e Arbosana.
Riporto la mia email di risposta all'invito che mi ha inviato il
rappresentante di l'Agrimolla Iberia cioè, come lui ci tiene a sottolineare,
"l'azienda vivaistica storica, leader nel campo dell'olivicoltura
superintensiva", di partecipare a una manifestazione di presentazione dei
"grandi" risultati ottenuti con solo due varietà classiche della Spagna
"Arbequina" e "Arbosana" che, con l'olivicoltura intensiva, sono destinate a
colonizzare l'olivicoltura mondiale, a partire da quella italiana. Alla faccia del nostro straordinario patrimonio di biodiversità che ci vede
leader assoluti nel mondo con oltre 500 varietà autoctone, pari al doppio del
patrimonio mondiale.
Faccio appello a quanti hanno a cuore questo patrimonio soprattutto nostro,
ma anche di altri paesi del Mediterraneo (la Spagna compresa), a contrastare un
disegno dei padroni dell'olio, fra i quali anche i titolari dell'Agrimolla
Iberia, che è quello di azzerare le differenze, le diversità, cioè i valori,
come il dialetto, la lingua, le tradizioni che, come si sa, sono le espressioni
più autentiche di un territorio insiema all'ambiente ed ai paesaggi. Le
diversità di cui si nutre l'uomo per non sentirsi trasformare in un oggetto di
puro consumismo guidato da altri. Senza la diversità non c'è libertà. Rivolgo questo appello agli olivicoltori italiani e alle loro
associazioni, consorzi, cooperative, Unioni; alle organizzazioni professionali
- in primo luogo la CIA ed l'Associazione Nazionale delle Città dell'Olio, che
hanno condiviso con me il progetto "Olivoteca d'Italia", l'oliveto della
biodiversità, con le città dell'olio impegnate nella difesa del paesaggio
olivicolo - alle Università, al mondo dell'enogastronomia; agli organi di
informazione; agli uomini di cultura ed alle istituzioni i vari livelli, perchè
tutt'insieme si adoperino a non far passare questo tentativo di colonizzazione
dei nostri territori olivetati. Serve attivare subito tutte le azioni di informazione e controinformazione.
Serve altresì realizzare progetti atti a dare spazio alla biodiversità, alla
ricchezza organolettica degli oli prodotti, alla salvaguardia dei gusti e delle
tradizioni con le mille cucine espresse e segnate dall'olio.Si tratta di bloccare subito questo disegno che non aiuta la nostra
olivicoltura ma a limitarla fortemente dando ai territori identità uniformi
sotto ogni aspetto. Ed ecco la mia email di immediata risposta al rappresentante della ditta
spagnola che, volentieri, pongo alla vostra attenzione.
Scorcio di paesaggio olivicolo a Larino |
Foto storica raccolta delle olive |
Egregio Dr. Rutigliano,
grazie per l’invito ma non ci sarò. E’ l’inizio della colonizzazione della nostra olivicoltura da parte della
Spagna con il rischio dell’abbandono dei nostri oliveti marginali che sono tanta
parte della olivicoltura italiana e di quel straordinario patrimonio di
biodiversità olivicola che è, questo sì, il nostro vero futuro.
I miei saluti
Pasquale Di Lena
venerdì 16 novembre 2012
NEWS MERCATI (Settimana n° 45/2012)
Cereali - Ultime quotazioni alla produzione
Andamento nazionale |
Mercato di Foggia |
Andamento annuale |
Cereali - Prezzi medi alla produzione
Olio extravergine d'oliva
Ortaggi
Oleaginose
Fonte: ISMEA
giovedì 15 novembre 2012
NEWS IN PILLOLE
Dal Consiglio europeo una mazzata sulla pac
Se 8 miliardi sembravano tanti, cosa pensare di 25? Stiamo parlando dei tagli
al bilancio della pac per il 2014-2020 e della proposta lanciata dal presidente
del Consiglio europeo Herman Van Rompuy sulla riduzione del budget dell’Ue, che
va ben oltre le già pesanti decurtazioni proposte da Commissione e presidenza di
turno cipriota. Lo stesso commissario Dacian Ciolos ha parlato di un «salto
indietro di 30 anni, che va contro lo sforzo di rendere la pac più equa, più
verde, più efficiente». In effetti il documento del Consiglio parla di
ampliamento del criterio di distribuzione degli aiuti diretti non basandolo solo
sulla superficie, ma con tagli di questo genere è difficile immaginare la tanto
annunciata riforma forte in grado di rilanciare l’agricoltura europea.
Tagli al gasolio agricolo
Franco Verrascina, presidente Copagri: «Credo che le nostre istituzioni, e nella fattispecie il Parlamento, continuino a manifestare una miopia davvero grave e preoccupante nei confronti del settore dell'agricoltura, che invece, in questi anni di profonda crisi ha più volte dimostrato che se fosse sostenute da una seria ed organica politica nazionale potrebbe fare la sua parte nel superamento della stessa crisi e per una prospettiva di ripresa e di sviluppo. Già tartassati da oneri fiscali e contributivi che mettono repentaglio la tenuta delle imprese agricole ora si paventa un'altra misura particolarmente stringente per le possibilità dei nostri produttori agricoli: la riduzione del contingente di gasolio agricolo nella misura del 10%. A noi non stava bene neanche il 5% del testo originario, ma così è troppo».
Franco Verrascina, presidente Copagri: «Credo che le nostre istituzioni, e nella fattispecie il Parlamento, continuino a manifestare una miopia davvero grave e preoccupante nei confronti del settore dell'agricoltura, che invece, in questi anni di profonda crisi ha più volte dimostrato che se fosse sostenute da una seria ed organica politica nazionale potrebbe fare la sua parte nel superamento della stessa crisi e per una prospettiva di ripresa e di sviluppo. Già tartassati da oneri fiscali e contributivi che mettono repentaglio la tenuta delle imprese agricole ora si paventa un'altra misura particolarmente stringente per le possibilità dei nostri produttori agricoli: la riduzione del contingente di gasolio agricolo nella misura del 10%. A noi non stava bene neanche il 5% del testo originario, ma così è troppo».
Prima conta dei danni del maltempo
Con il ritiro delle acque si contano i danni che nelle campagne potrebbero
arrivare a 100 milioni di euro a causa degli allagamenti, frane e smottamenti
che hanno colpito le infrastrutture nelle aree rurali, le coltivazioni agricole,
ma anche causato la morte di animali, devastato stalle, serre, cantine e
impianti di trasformazione alimentare, dalla Toscana al Lazio, dall’Umbria al
Veneto. Nel fare un primo approssimativo bilancio dell’ondata di maltempo la
Coldiretti chiede che siano avviate le procedure per la richiesta dello stato di
calamità nelle zone colpite e l’esonero dai contributi previdenziali e
tributari.
Via libera al Pacchetto qualità
Il Consiglio ecofin, composto dai ministri europei dell’economia, ha approvato
il Pacchetto qualità per i prodotti agricoli e agroalimentari sulla base
dell'accordo raggiunto in prima lettura dal Consiglio con il Parlamento europeo.
i principali elementi del regolamento prevedono un rafforzamento dell'attuale
normativa per dop e igp; una profonda riforma delle stg (specialitaà
tradizionali garantite) e un nuovo quadro normativo per nuove denominazioni
opzionali che forniscano ai consumatori ulteriori informazioni. Agra Press
Newsletter dall'Informatore Agrario
lunedì 12 novembre 2012
FOTO STORICHE
Abbiamo ricevuto, stamattina, delle foto storiche di alcuni studenti di qualche anno fa del nostro glorioso Istituto. Cogliamo l'occasione per chiedervi se avete delle testimonianze fotografiche del vostro corso di studi, che vogliate condividere, previa autorizzazione, naturalmente. Vi ricordiamo che il blog è aperto a tutti, anche senza iscrizione preventiva, ognuno può lasciare la propria testimonianza. Crediamo che il motto del blog "non c'è futuro senza memoria", sia emblematico, proprio in un momento così delicato per le sorti della nostra scuola. Abbiamo bisogno del sostegno di tutti coloro che hanno lasciato un pezzo della loro vita su quei banchi.
Un saluto cordiale dall'associazione a tutti gli ex-studenti.
Etichette:
FOTO STORICHE,
ISTITUTO AGRARIO
Ubicazione:
Larino CB, Italia
lunedì 5 novembre 2012
sabato 27 ottobre 2012
venerdì 26 ottobre 2012
giovedì 25 ottobre 2012
RASSEGNA STAMPA
Etichette:
ISTITUTO AGRARIO,
LARINO,
RASSEGNA STAMPA
Ubicazione:
Larino CB, Italia
lunedì 15 ottobre 2012
LA FIERA DEI GIOVANI
Neanche la pioggia battente, inclemente per
certi tratti, ha intaccato la tenacia e lo spirito dei ragazzi dell’Istituto
Tecnico “San Pardo” di Larino che nella mattinata di venerdì, con la partecipazione di un gruppo di
studenti del Liceo “F. D’Ovidio” della stessa città, hanno dato vita a una
manifestazione che ha colorato la piazza principale con le tinte della natura,
rievocando un’antichissima pratica che già in epoca romana era diffusissima,
quella della pigiatura dell’uva con i piedi. La “festa dell’uva”, come l’hanno
battezzata la Prof.ssa Annarita De Notariis e la Prof.ssa Giovanna Civitella,
organizzatrici dell’evento, si è andata a inserire nel contesto della 270^
Fiera d’Ottobre, manifestazione nata nel lontano 1742, per mano di Carlo III,
Re delle Due Sicilie, che decretò l’istituzione di quello che sarebbe stato uno
degli appuntamenti fieristici più importanti del centro-sud Italia. Il poeta
larinese Ernesto De Rosa la ricorda in questo modo: “una grande ripercussione
su tutti i mercati”, perché “treni carichi di animali si portavano da Larino,
nei centri più importanti d’Italia”.
Scorcio di Piazza del Popolo |
Proprio le origini e le tradizioni contadine di
un appuntamento che nei secoli scorsi era punto di passaggio per tutti quelli
che, attraverso i tratturi, compievano la transumanza verso la vicina Puglia,
sono state rievocate dagli studenti come collante tra passato e presente, come
amalgama tra la cultura popolare e la storia. Come detto poc’anzi, con la
pigiatura a piedi nudi dell’uva e con essa la pianta della vite, si è voluto
riportare alla memoria una tradizione storica di questa terra, che affonda radici
in epoca romana, dove la città di Larinum (Urbs princeps frentanorum) ne è un chiaro testimone con ritrovamenti
archeologici che certificano la presenza della vite e del vino nel tessuto
sociale di quell’epoca. I ragazzi dell’Istituto Tecnico “San Pardo” si sono
prodigati nell’operazione di pigiatura con i piedi, tecnica che tutt’oggi è
eseguita in alcune realtà territoriali, come per i produttori di vini
biodinamici, vista la delicatezza dell’intervento rispetto alle moderne
tecnologie, nel rispetto della natura del prodotto e della terra. Anche alcune studentesse
del Liceo, a dispetto di qualche evoluto benpensante che sostiene che certe
attività non abbiano niente a che fare con la cultura classica, si sono volute
cimentare nell’operazione e di buon grado hanno apprezzato le proprietà
organolettiche della spremuta d’uva, oltre a parte della cittadinanza
convenuta, che opportunamente fermentata riesce a dare un prodotto, il vino, simbolo
di convivialità e legame con la terra.
Ragazzi alle prese con la pigiatura dell'uva |
Altro momento di coinvolgimento sono stati balli
folk, eseguiti sempre dai ragazzi dei due istituti scolastici, tra suoni e
melodie del passato e del presente, che hanno rievocato tradizioni popolari
contadine che accompagnavano la raccolta e la trasformazione dell’uva e i
momenti di convivialità attorno ad un bicchiere di vino. Si è trattato di un
momento di folklore, di gioia e di giubilo, all’interno di una manifestazione
fieristica che, forse causa la congiuntura economica avversa o per gli
strascichi giudiziari che l’hanno anticipata, si presentava in tono minore.
Esibizione di balli folk |
Particolarmente apprezzata, dal folto pubblico, è stata la possibilità
di degustare i prodotti della tradizione contadina, e in particolar modo i vini
di Angelo D’Uva, vignaiuolo in Larino, e l’olio extravergine da olive della
varietà “Gentile di Larino”, prodotto dallo stesso Istituto.
Un piccolo encomio, anche se autoreferenziale, per il sottoscritto che
ha fornito l'uva utilizzata per la pigiatura, nella fattispecie della varietà
Montepulciano, che alla misura rifrattometrica ha dato un valore di 24,2 gradi
Babo (percentuale di zucchero in peso, g di zucchero contenuto in 100 g di
mosto) che, con un semplice calcolo empirico, darà un vino con un valore
potenziale in alcool pari a 14,50%. Non male, eh?
Al termine della rappresentazione, dopo gli elogi della cittadinanza e
delle rappresentanze istituzionali presenti, le promotrici dell'iniziativa già
si sono messe al lavoro per una nuova edizione da bissare nel 2013, ricca di
nuovi spunti.
Un particolare ringraziamento va al Dirigente Scolastico Prof. Paolo A.
Santella, ad Enrica Luciani delle cantine Angelo D'Uva, al personale tecnico-amministrativo
dell'Istituto Tecnico "San Pardo", agli studenti dell'Istituto Tecnico "San
Pardo" e a quelli del Liceo "Francesco D'Ovidio".
Con l'augurio di una rinnovata veste della manifestazione che, insieme
all'Istituto Agrario, unico della regione, facciano da traino ad una realtà
agricola, pregna di valori e tradizioni, ma ancora poco apprezzata all'esterno.
Sebastiano Di Maria
giovedì 13 settembre 2012
L'ALTRA TINTILIA
Nell'edizione pomeridiana del TG3
regionale del giorno 6 settembre, in pieno clima vendemmiale, è andato in onda un servizio sul futuro
della vitivinicoltura molisana e in particolare sulle sorti della Tintilia,
l’autoctono simbolo dell’enologia regionale. Non conoscendone il contenuto,
sono andato alla ricerca del video che mette a nudo, dopo aver tessuto lodi e incensato
il vitigno e il relativo vino da più parti in questi ultimi anni, non senza
stupore, un vero e proprio malcontento in diversi produttori che, per chi vive quotidianamente
questa realtà come il sottoscritto, sono più di un semplice campanello di
allarme. In un periodo di crisi e di contrazione del mercato, che in generale
non ha intaccato il sistema vitivinicolo nazionale, si osserva, di contro,
un’inversione di tendenza per le cantine private della regione che si sono approvvigionate
negli anni delle uve prodotte da terzi, in particolare di Tintilia, per far
fronte all’aumento della domanda. Le difficoltà oggettive di vendita del vino
Tintilia in questo periodo, come affermato dai viticoltori intervistati, fa vacillare,
di fatto, questo mercato trasversale che teneva in vita parte della
vitivinicoltura regionale, o di quello che resta dopo la mattanza
dell’estirpazione massiccia che ha portato la superficie dai 9.236 Ha del 1982
ai 4.173 Ha del 2010 (dati del censimento agricoltura ISTAT 2010).
Partiamo da
lontano e cerchiamo di capire quali sono i fattori che hanno determinato questo
saldo negativo del 29%, solo nel decennio 2000/2010, sulla superficie viticola
e sullo sviluppo del mercato enologico regionale, in particolar modo per la
Tintilia. Come già ho avuto modo di parlarne
in altri articoli, la Tintilia ha rappresentato il vero punto di svolta del
comparto vitivinicolo regionale, non tanto per il recupero del materiale
genetico o delle aree interne e marginali, di cui era padrona indiscussa fino
agli anni ’50 tanto che l’attuale territorio della regione Molise era il più
vitato del centro-sud con oltre 22.000 Ha, ma soprattutto come simbolo di
un’unità enologica territoriale ben determinata, un grimaldello che potesse
aprire nuovi scenari di mercato e fare uscire un’identità territoriale
pressoché sconosciuta. Il primo errore fu commesso, dopo la riforma fondiaria,
con la conversione delle aree marginali interne a cerealicoltura e lo sviluppo
di una viticoltura estensiva nel basso Molise, votata alla quantità più che
alla qualità, per scelte politico-produttive, come dimostra l'utilizzo del
sistema d’impianto a tendone, che decretano la nascita di grandi cantine
cooperative. Purtroppo questa scelta si è dimostrata fallimentare, non tanto
per la qualità delle produzioni o della laboriosità dei viticoltori, mai in
discussione, ma quanto per scelte politiche ed economico-organizzative che
hanno trasformato delle solide realtà cooperativistiche, o presunte tali, in
veri e propri bacini di voti e in un coacervo d’interessi personali e di
sperpero di denaro pubblico. Questa miopia ha portato, di contro, ed eccoci
arrivati ai giorni nostri, a una crescita forte di cantine private che, grazie a
una territorialità inespressa e a un vitigno a essa intimamente legato, hanno
dato nuova linfa a un settore ormai in decadenza. Ed ecco i primi
riconoscimenti per diversi vini, tra cui la Tintilia, e per diverse cantine
della regione, fino a qualche decennio fa ad appannaggio di una sola realtà
territoriale. Bisognava cavalcare l’onda ed ecco, quindi, nuovi impianti di
vigneti e riconversioni varietali con il vitigno Tintilia a farla da padrone,
anche grazie all’aiuto comunitario contenuto nella relativa OCM e sotto
l'azione della politica agricola regionale. Tutti, a diverso titolo, addetti e
non, hanno “cavalcato” l’onda emotiva distogliendo lo sguardo, probabilmente decisivo,
di una corretta opera promozionale e di marketing che non tenesse conto dei
diversi campanili, che purtroppo esistono. E non bastano dichiarazioni di
comunità d’intenti sulla necessità di una strategica opera di marketing, come
si evince dalle interviste che i singoli produttori rilasciano. A titolo
esemplificativo, per esempio, c’è chi ha deciso di affidarsi a firme
dell’enologia internazionale come chiave del successo e chi, invece, si trova a
lottare quotidianamente, spesso in prima persona, per cercare di mantenere o di
non perdere quote di mercato. Qual è la promozione strategica regionale? Qual è
il ruolo e quali sono le attività svolte dal Consorzio di tutela dei vini della
regione Molise? Cosa sono le strade del vino, e mi sono stancato di dirlo, se
non delle fredde tabelle, peraltro di difficile interpretazione, poste ai bordi
delle strade della regione?
Certo, ci sono diverse persone che cercano di
mettersi a servizio delle aziende e del territorio spendendo la propria
professionalità e il proprio bagaglio personale, come l’amico Pasquale Di Lena,
già segretario generale dell’enoteca italiana di Siena, che tanto sta dando in
termini di visibilità all’intero territorio regionale e alle sue ricchezze storico-culturali
ed enogastronomiche. Dai produttori intervistati, quindi,
è lampante un sentimento di scoramento e d’impotenza di fronte all’evolversi
del mercato: essere costretti a estirpare un vitigno di cui si sono visti
incentivare la riconversione o il nuovo impianto. Purtroppo qualcosa
scricchiola e non è solo da imputare all’agonia delle realtà cooperativistiche
regionali, costrette ad accontentarsi di mercati marginali o di medio-basso
profilo, peraltro avvalorato dal fuggi-fuggi verso realtà del vicino Abruzzo (ma
qualche produttore non parlava di un rischio concreto di scippo della IGP Osco
o Terre degli Osci?) o dalla svendita sul mercato delle proprie uve per realtà
produttive ben lontane dalla nostra, soprattutto per il Trebbiano, ma in parte anche
per il Montepulciano. Da cosa dipende
tutto ciò? La mia piccola esperienza, al di
fuori dei confini regionali, ha messo a nudo una realtà che ai miei occhi poteva
sembrare diversa. Non mi riferisco assolutamente alla qualità e alla bontà
delle nostre produzioni di qualità, mai messa in discussione, ma quanto ad una
visibilità pressoché nulla. Il punto che forse si è trascurato maggiormente, e
che non mi stancherò mai di ripetere, è rappresentato dai volumi di prodotto da
immettere sul mercato, troppo piccoli perché possano diffondere capillarmente già
nel solo territorio nazionale. Basti pensare che la DOC Montepulciano
d’Abruzzo, per fare un esempio a noi vicino, diffusa e conosciuta in campo
internazionale, nel 2010 ha denunciato oltre 10.000 Ha d’impianti e circa
900.000 ettolitri di vino. Ed è solo una delle denominazioni, anche se tra le
più grandi d’Italia, e il confronto dei numeri è impietoso. Da dove partire
allora? Intanto radicando il consumo del vino e della Tintilia già in ambito
regionale attraverso una comunione d’intenti, su cui c’è ancora molta
diffidenza e scarso appeal ad appannaggio del Montepulciano come vitigno, più
diffuso e di qualità indiscussa.
Naturalmente mi riferisco al “consumatore
quotidiano”, alle nuove generazioni, e non ai soloni della degustazione o
presunti tali, di cui pullula la medio - alta borghesia enofila, educarli a un
consumo consapevole, alla riscoperta del territorio, sdoganando il concetto di
vino come bene di lusso, cosa che molte aziende stanno facendo anche come
tendenza del mercato ma che non rispecchia la realtà. Solo con una
consapevolezza maggiore delle proprie potenzialità a 360°, coinvolgendo anche
altre produzioni di qualità indiscussa, come olio extravergine e tartufo, solo
per citarne alcuni, in un contesto di ruralità senza eguali in termini
percentuali nel nostro paese, si può immaginare di uscire da un sostanziale stato
di anonimità che, aimè, tranne qualche distinguo più frutto di opera
individuale, è tangibile al di fuori dei confini regionali.
Sebastiano Di Maria
molisewineblog@gmail.com
giovedì 26 luglio 2012
BERE VINO FA DAVVERO MALE?
Non nascondo che trattando,
con quest’articolo, un argomento di stretta attualità e pieno d’insidie, con
l’obiettivo di fare un po’ di chiarezza, si corra il rischio di incappare in
scivoloni o creare allarmismi, perché tale è lo stato dell’arte, frutto di
scontri dialettici, e non solo, tra addetti al settore e responsabili di sanità
pubblica, tra estimatori e detrattori, tra fautori e puritani. Non parlo di
politica, né tantomeno di economia, ma di qualcosa che, nel bene o nel male, a
diverso titolo, appassiona e avvicina sempre più gran parte dei consumatori a
un mondo nuovo, ricco di mille sfaccettature, che ci riporta, se vogliamo, alle
origini e alla riscoperta e/o rivalutazione della terra e dei suoi frutti,
fatta di territori straordinari ed esempio di laboriosità e passione.
Naturalmente mi riferisco al vino e alla sua ascesa come “status symbol” del bel
paese, non tanto quanto protagonista sulle nostre tavole ma piuttosto come
simbolo del turismo enogastronomico, vero motore della vacanza Made in Italy nel
periodo di crisi. A dire il vero, chi ha avuto modo di leggere i miei articoli
sul blog o sul Ponte online, si renderà conto che parte di quello che scriverò
nelle prossime righe, è stato già affrontato in diversa misura e sviscerato in
modo da renderlo comprensivo ai più, dalla nuova normativa sul vino biologico,
sul dualismo tra vini convenzionali e vini naturali, sulle nuove frontiere
della vinificazione in assenza di solfiti ecc. Un aspetto che ancora non avevo
trattato in maniera organica, anche se non sono mancati, come dicevo, accenni
in diversi articoli, è quello che riguarda l’effetto del consumo del vino sulla
salute del consumatore, dagli effetti dell’alcool fino a quello dei vari
elementi presenti, frutto del normale processo fermentativo o da aggiunte di
coadiuvanti tecnologici. In realtà avevo già in mente di affrontare di petto
questo tema spinoso nei mesi scorsi, dopo il polverone innalzatosi dal
messaggio di Jonathan Nossiter, regista del documentario Mondovino, che sul magazine GQ definiva “tossico” un vino non naturale con tutti i
risvolti che la cosa ha portato. Tra quelli che ho seguito con maggiore
attenzione, perché ricco di spunti e argomentazioni, anche se estremamente
tecnicistico, c’è quello scritto dall’amica Anna Pancheri su Trentino Wine Blog che invito tutti ad andare a leggere: “Se il vino è veleno la
disinformazione uccide”. Tralasciando il discorso degli effetti dell’alcool sulla salute del consumatore a luoghi e con interlocutori più
consoni, cui purtroppo il vino non si sottrae come bevanda alcolica (solo
13-14% di alcool in volume), anche se ingiustamente colpevolizzato e additato
da detrattori come simbolo di tutti i mali, cerchiamo di capire quali sono i
punti critici di una produzione che, dopo la mezza “bufala” sugli effetti "miracolosi" di
polifenoli e resveratrolo, possono essere pericolosi per l’uomo. L’onda emotiva che agita il settore, riassumibile con la crescita del
fronte “bere naturale”, non si è placata, anzi, proprio in questi giorni è
stato pubblicato un articolo sull’Espresso dal titolo “Puro come vino” (che
centri qualcosa il metodo Purovino di qui ho parlato nel mio blog?), che cerca
di tracciare delle linee guida su come bere senza pericoli. La lettura dello
stesso è servita come spunto per la quadratura del cerchio su una serie di
concetti espressi negli articoli precedenti, grazie al contributo, questa
volta, di massimi esperti del settore. Andiamo per gradi e cerchiamo di
comprenderne al meglio i contenuti.
L’introduzione è di quelle che non lasciano respiro, “tutto fuorché una spremuta di uva invecchiata e profumata”, ponendo l’accento su quelle che sono il numero delle sostanze “chimiche” naturalmente presenti o aggiunte in vinificazione, ben oltre 600. E via giù con un elenco di quelle più comuni, da enzimi e lieviti, naturalmente presenti sull’uva, in generale, ma che nella comune pratica sono aggiunti, opportunamente selezionati e purificati, in base all’obiettivo enologico da raggiungere, aggiungo io, per finire ad alcuni coadiuvanti tecnologici indispensabili per l’estrinsecarsi delle qualità di un vino, dalla migliore DOC fino al vino biologico, ossia sostanze stabilizzanti (chiarificanti proteici o minerali, gomma arabica), antiossidanti (solforosa, tannini, glutatione), esaltatori di aromi e colore (complessi enzimatici), antischiumogeni (lieviti selezionati anche se detto così ha fatto paura anche a me) e così via. A dipanare la matassa ci pensa uno dei massimi esperti nazionali in materia vitivinicola, il Prof. Mario Fregoni, già Ordinario di Viticoltura presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, che sentenzia: “il vino migliore è quello naturale, ossia quello cui non si aggiunge nulla che non sia già presente”, anche se la dicitura “vino naturale”, aggiungo, non esiste come categoria merceologica e pertanto l’eventuale qualifica a fini commerciali è una forma di frode. Ed ecco quindi ripresentarsi il tema dell’etichettatura che, secondo l’autore dell’articolo sull’Espresso, rappresenta il “vero salvavita” per il consumatore, ma che vista la complessità risolverebbe solo in parte la problematica, com’è stato per i solfiti, di cui ritengo debba essere aggiunto in etichetta la quantità presente (utopia?). Per i vini prodotti e/o imbottigliati dall’1 luglio 2012, inoltre, scatta l’indicazione in etichetta degli allergeni (derivati di latte e/o uova) contenuti nei coadiuvanti enologici utilizzati durante la fermentazione e l’affinamento dei vini allo scopo evitare torbidità e fenomeni ossidativi.
Simboli da mettere in etichetta (OIV) |
Il
vero nodo cruciale, sempre secondo l’autore, sono i solfiti, fondamentali nel
processo fermentativo, presenti anche naturalmente perché generati dalla
normale attività fermentativa dei lieviti, che sono, come precisa Cinzia Le Donne, nutrizionista
dell’Istituto Nazionale per la Ricerca sugli Alimenti e la Nutrizione, “responsabili di possibili reazioni pseudo-allergiche,
in particolar modo nei soggetti asmatici, particolarmente sensibili, che
possono manifestare crisi respiratorie mentre nelle persone non asmatiche i
sintomi possono essere soprattutto cutanei e gastrointestinali”. In effetti, se
la quantità supera i 10 mg/l sulla bottiglia, deve essere indicato “Contiene
solfiti” (dir. 2003/89/CE, recepita in Italia con
d.lgs. 114/2006) e, anche per un vino prodotto in maniera naturale
(senza aggiunte), spesso tale limite è raggiunto e anche l’indicazione “senza
solfiti aggiunti” potrebbe non essere risolutiva perché difficilmente
dimostrabile. In sintesi, come sostenuto dal sottoscritto, anche la
nutrizionista dell’INRAN pone l’accento sulla necessità di indicare in
etichetta il residuo contenuto in bottiglia, in modo da comprendere se ci sono
pochi grammi o decine di volte tanto, anche perché c’è da tener conto della
Dga, la cosiddetta “dose giornaliera ammissibile”, che non va superata anche
alla luce della presenza dei solfiti in altre bevande e cibi (aceto, frutta
secca). Purtroppo, anche la normativa sul vino biologico non ha posto un freno
a tale pratica, lasciando, di fatto, dei limiti ancora molto alti, come avete
avuto modo di leggere nei miei precedenti articoli e che invito eventualmente a
rileggere per completezza d’informazione.
Altro
aspetto, come già anticipato, è quello degli allergeni da indicare in etichetta
dall’1 luglio (in quantità superiore a 0,25mg/l)
in seguito ad attività di chiarifica del vino, che per alcuni esperti
rappresenta un discorso di lana caprina, vista l’eventuale presenza in tracce
dopo i normali cicli di filtrazione, mentre il problema potrebbe sussistere,
eventualmente, per quelli non filtrati (Svizzera e Canada sono di quest’avviso).
Sulla
base della documentazione scientifica e delle ricerche disponibili, però, non
si è potuto escludere con certezza la presenza nel vino di residui di albumine
e caseine, anche dopo i normali processi di filtrazione cui il vino è
sottoposto, tali da provocare reazioni avverse, pur deboli, in soggetti
allergici a latte e
uova. La norma, contenuta nel regolamento UE n.
1266/2010 (direttiva 2007/68/CE), prevede, quindi, l’indicazione della presenza
di derivati del latte o delle uova utilizzati nel processo tecnologico del tipo
“contiene uovo o derivati dell’uovo”, “contiene lisozima da uovo” o ancora
“contiene derivati del latte o proteine del latte”. Molti produttori, per
evitare allarmismi, preferiranno usare altre sostanze chiarificanti (consentite) di origine minerale o gelatine a base di colla di pesce, per le
quali non è previsto alcun obbligo di indicazione.
Additivi nel bicchiere (da l'Espresso: "Puro come il vino") |
Dei
discorsi a parte, infine, meriterebbero le contaminazioni esterne dovute a
residui di antiparassitari o ad aflatossine prodotte dal metabolismo delle
muffe di cui mi limiterò a un semplice accenno, riservandomi, se possibile, una
trattazione più organica e comprensibile in altri articoli. Per quanto riguarda
il discorso antiparassitario, con l’applicazione delle tecniche di lotta
integrata, basata sull’alternanza e la complementarietà di metodi chimici,
fisici e biologici, oltre alla “selezione di specie più resistenti, conversione
delle macchine irroratrici e tecniche di viticoltura di precisione (attraverso
modelli matematici) si ha la possibilità di ridurre l’uso dei fitofarmaci solo
quando indispensabili”, come sostenuto dal Prof. Stefano Poni, Ordinario di
Viticoltura all’Università del Sacro Cuore di Piacenza.
Per
quanto riguarda le micotossine, invece, il problema è di carattere generale giacché
riguarda molte derrate alimentari (caffè, birra, insilati di cereali come mais
e grano) e il vino non si sottrae da tale logica, anche se il relativo
contenuto è notevolmente inferiore (fino a 150 volte) rispetto agli altri alimenti. L’OcratossinaA (OTA), prodotta principalmente da muffe appartenenti ai generi Aspergillus e Penicillium, cui si aggiunge la nuova categoria delle
fumonisine (FBs), può derivare da attacchi massici di oidio o di botrite alla
vite. Essendo, quindi, strettamente legata alla sanità delle uve, il rischio si
riduce perché da uve pessime difficilmente si può ottenere un buon vino. Nel
settore enologico c’è molta attenzione sulla questione e in diverso modo si sta
operando per un controllo efficace, sia in campo agronomico sia enologico.
Per
terminare, alla luce di quanto sopra, com’è possibile individuare un vino di
bassa qualità? Innanzitutto “il consumatore può affidarsi ai marchi certificati
come le DOP, sulle quali i controlli sono severi lungo tutta la filiera, perché
nessun produttore oggi può permettersi il danno derivante da frodi, truffe,
intossicazioni”, spiega ancora il Prof. Mario Fregoni, finendo che per il
prezzo “è meglio diffidare di quelli troppo bassi trattandosi, di fatto, di
vini ottenuti da vinacce comprate chissà dove e poi trattate anche con
procedimenti illegali come l’aggiunta di zucchero”. Tutto giusto, per carità,
ma personalmente non andrei alla cieca e non trascurerei le visite alle cantine
e delle belle chiacchierate con i produttori, meglio se piccoli e vignaioli, perché
prodotti di qualità ci sono anche a prezzi contenuti e viceversa. Bere
consapevole fa buon sangue, purché con moderazione. Prosit.
sebastianodm@alice.it
lunedì 2 luglio 2012
MOLISE FUTURO PROSSIMO
Alla “tre giorni” promossa dalla rivista “il bene Comune” nella Sala della Costituzione della Provincia di Campobasso, è stato sottolineato da più parti il valore ed il significato del Territorio e la necessità di ripartire da esso se si vuole assicurare un futuro al Molise.
C’è da dire che, pur trovando molto interessante l’iniziativa per il Molise e per la situazione di pesante crisi che solo uno sforzo d’idee e di sogni può risolvere, una tre giorni non basta, ce ne vorrebbe una ogni settimana.
Uno sforzo di riflessione di gruppo sulla condizione di questa nostra piccola grande regione che, per le sue dimensioni e la sua fragilità politico-amministrativa corre rischi maggiori di altre, e, che più di altre ha bisogno di tracciare un suo percorso completamente opposto a quello attuale. Se la sovrastruttura di questo percorso ha bisogno, come ho già detto, d’idee e sogni, la struttura non può che essere il territorio molisano.
Un territorio, per fortuna, ancora ricco di ruralità e di agricoltura, di ambienti e paesaggi, storia e cultura, antiche tradizioni, che possono, tenendo conto anche delle modeste dimensioni dello stesso, far pensare a una crescita innovativa, ecosostenibile, in grado di dare occupazione; a una razionalizzazione e modernizzazione dei servizi; a una informazione come bene comune al servizio dei cittadini e della partecipazione democratica.
Una “tre giorni” d’intenso dibattito con personaggi di rilievo, ricercatori ed esperti, che hanno dato un contributo notevole al raggiungimento degli obiettivi di questo primo incontro e mostrato il valore di una scelta, che ha la necessità di ripetersi per diventare un vero e proprio laboratorio d’idee, un momento di creatività che serve per costruire il futuro, da domani.
Idee e creatività che, salvo encomiabili eccezioni, non fanno parte del patrimonio politico-culturale di una classe dirigente (non solo politica) che ha pensato allo sfruttamento delle risorse, arrivate copiosamente da Roma o da Bruxelles, più per sistemare il bilancio personale e familiare, quasi mai per contribuire a costruire il futuro di questa nostra regione, e, nel caso della politica, per spartire queste risorse e distribuirle al solo fine di accaparrarsi i consensi per la propria sopravvivenza politica.
Una cultura radicata da tempo che non riguarda solo una parte ma la sua totalità, per niente facile estirpare se non attraverso un’attenta analisi della realtà e la ricerca di soluzioni alternative.
Per un “Molise futuro prossimo” c’è bisogno di una classe dirigente all’altezza del compito, cioè capace di sviluppare con passione e professionalità il suo ruolo nella ricerca, certo, di un utile personale ma, prima ancora, di quello della collettività; progettare e programmare il futuro di questa nostra regione dove i giovani hanno smesso di pensarlo, visto che sono costretti a partire per non rimanere disoccupati per tutta la vita.
Una classe politica soffocata dalla logica del favoritismo in cambio del voto non ha niente da dare –come l’esperienza di questi anni dimostra - al futuro prossimo del Molise, se non quello di far crescere i rischi di svuotamento delle potenzialità che questa nostra regione ha.
Ieri, venerdì, la chiusura di questo “brainstorming” che ha bisogno di un’attenta valutazione per definire e assicurare la sua continuità perché possa diventare uno (spero di tanti) strumento di stimolo per un rinnovamento reale della classe dirigente che è così nel Molise, come altrove, frutto dei tempi che viviamo e di un sistema che è fallito e, come tale, impossibile da aggiustare.
C’è da pensare subito a dare le basi a un altro sistema, che, forte dell’esperienza maturata, tenga conto dei limiti imposti dalla natura e dal rispetto che essa merita. Una necessità se vogliamo continuare a respirare aria sana; a bere acqua pulita; ad avere cibo di qualità legata al territorio, cioè all’origine; godere il paesaggio e la ricchezza della sua biodiversità; avere la cognizione del tempo; vivere la diversità e contrastare l’idea di un livellamento, soprattutto culturale delle genti, dei popoli; conservare il nostro dialetto, la nostra lingua e tutti gli altri segni della nostra identità.
Queste e altre riflessioni che meritano il confronto, l’approfondimento; di essere comunicate perché la loro diffusione semini cultura. Essa è indispensabile per governare una realtà come il Molise che ha tutto per essere uno straordinario laboratorio e, soprattutto, un esempio per altre regioni, altre realtà, nel momento in cui il percorso di un “Molise futuro prossimo” è iniziato.
giovedì 21 giugno 2012
DIETA MEDITERRANEA MARCHIO DI QUALITÀ
Il Cilento è un luogo mitico che merita di essere visitato con un’attenzione particolare per tutto quello che esso può dare alla sensibilità del visitatore. Con la parte posta ad est, l’antica Lucania, quella del Diano, forma un immenso parco di 180.000 ettari.
Comune di Pollica (SA), all'interno del Parco del Cilento |
Un territorio stupendo di monti ingialliti di ginestre e, più in basso, di dolci colline olivetate e vitate che, da Agropoli a Sapri per 100 chilometri di scogliere scoscese e ampie spiagge, scivolano nel mare Tirreno. A chiudere, a sud, il territorio della Provincia di Salerno che, a nord, da Positano a Vietri, ha, come altra faccia di una stessa medaglia, per altri quaranta chilometri, la costiera amalfitana. Due esempi della natura domata dall’uomo nel segno, però, del rispetto reciproco e di un rapporto che ha sempre avuto le sue basi nel pensiero per il domani. Le azioni e il sacrificio di Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, che ha pagato con la vita questo suo innato senso del rispetto, stanno dimostrando. In totale 220 chilometri di mare che, dall’alto di Pollica, si possono ammirare in tutta la sua ampiezza, spaziando da Capri e Punta Campanella a Palinuro come a toccare con mano il Mediterraneo, le sue scie di civiltà e di scambi commerciali, soprattutto degli oli, dei vini e dei grani. I tre prodotti basilari, insieme alla frutta e alle verdure, dei suoi modelli alimentari che il Cilento ha saputo raccogliere e, grazie, alle ricerche di un americano, Ancel Keys, di sua moglie Margaret e altri studiosi, presentare al mondo intero come uno stile di vita (dieta) proprio del Mediterraneo. Uno straordinario patrimonio culturale che l’Unesco, con il suo riconoscimento del novembre 2010 a Nairobi, ha voluto dedicare all’umanità quale punto di riferimento e, anche, tutela del patrimonio stesso. A giugno sono tornato in questi luoghi, ancora una volta in rappresentanza delle Città dell’Olio, ospite di una manifestazione “The village doc festival”, per parlare di olio nel “Dibattito sulla dieta mediterranea – la tavola delle esperienze, visioni e proposte per valorizzare il patrimonio enogastronomico e culturale”.
Il Sen. Alfonso Adria |
Un incontro molto interessante che ha avuto come protagonista Alfonso Andria, vicepresidente della Commissione agricoltura del Senato, già presidente della Provincia di Salerno, con la presentazione di un importante disegno di legge “Disposizioni per la valorizzazione e la promozione della dieta mediterranea”, che, se approvato, può servire a recuperare il tempo perso dal 16 novembre 2010, la data che ha sancito a Nairobi, in Kenia, la “Dieta” bene dell’umanità, ad oggi. Tempo perso, dicevamo, che ha visto tutti i protagonisti, istituzionali e privati, come paralizzati, incapaci di cogliere il valore e il significato di questo riconoscimento così fondamentale per le nostre eccellenze alimentari e l’immagine della nostra cucina, la comunicazione e la commercializzazione degli stessi. L’unica iniziativa che ha fatto proprio questo riconoscimento e l’ha bene utilizzato è stata, fino a quando (2012) non l’hanno cancellata, la “Maratona del gusto e delle bellezze d’Italia” di Casa Italia Atletica, promossa da Fidal servizi nelle occasioni dei grandi eventi di atletica, come campionati del mondo ed europei, meeting e maratone, da Madrid a quella di New York.
Il disegno di legge n° 3310, presentato, non a caso, in anteprima a Pollica, che vede il Sen. Andria promotore e primo firmatario, si compone di soli sette articoli con: il primo che si pone la finalità di contribuire a tutelare e promuovere la dieta mediterranea in quanto modello culturale e sociale fondato su un insieme di competenze, conoscenze, pratiche e tradizioni legate all’alimentazione e al vivere insieme a stretto contatto con l’ambiente naturale; il secondo che dà una definizione di «dieta mediterranea», in linea con il dossier presentato dai quattro Paesi promotori della candidatura al patrimonio culturale immateriale UNESCO; l’articolo 4 che istituisce la «Giornata Nazionale della dieta mediterranea – patrimonio dell'umanità» da celebrare ogni anno e su tutto il territorio nazionale il 16 novembre, quale occasione per diffondere e dare risalto ai valori della dieta mediterranea; l’art. 6 che istituisce e disciplina il marchio “dieta mediterranea - patrimonio dell’umanità”. Intorno ad esso ruota il successo dell’iniziativa nel momento in cui riesce a dare al consumatore e al mercato le garanzie di qualità di cui hanno bisogno.
Un successo che serve alla nostra agricoltura per uscire dalla crisi e alle sue eccellenze dop, igp e biologiche -tanta parte di questa “dieta” - per vincere sui mercati insieme all’immagine del nostro Paese e dei territori di origine di cui sono testimoni importanti.
Pasquale Di Lena
martedì 12 giugno 2012
lunedì 11 giugno 2012
AGRICOLTURA E TERRITORIO: SPUNTI DI RIFLESSIONE
Avete avuto modo di seguire tramite Blog, Facebook e carta stampata gli appuntamenti che hanno tenuto banco, nella settimana dedicata alle problematiche del mondo agricolo, presso l’Istituto Tecnico Agrario di Larino. Si è parlato di temi cruciali quali l’IMU, attraverso una chiave di lettura tecnico/normativa che ha fugato dubbi e paure, per lo più figlie di cattiva informazione, di sperimentazione in campo cerealicolo, punto di forza dell’attività dell’Istituto e dell’intero comparto agricolo regionale, ma non è mancato, in conclusione, il punto di vista di un uomo che ha speso gran parte della propria vita nella gestione delle problematiche del mondo agricolo, dando lustro a produzioni e territori nella sua opera promozionale e storico/culturale. Naturalmente mi riferisco a Pasquale Di Lena, larinese doc, agronomo e politico, poeta e profondo conoscitore del mondo rurale, scrittore e produttore di olio. Quale modo migliore per concludere gli appuntamenti sul futuro del mondo agricolo, davanti ad una platea formata soprattutto da giovani studenti dell’unica istituzione scolastica ad indirizzo tecnico-agrario della regione, di cui lo stesso autore ne è uno dei figli più illustri, con i futuri tecnici e operatori del settore, se non attraverso le pagine di un “libro che parla ai giovani”? E’ questo lo slogan della CIA (Confederazione italiana agricoltori), organizzazione sindacale di cui l’autore ne è stato uno dei fondatori e che cura la pubblicazione del volume.
L’autore ripercorre, per tappe, la sua vita dedicata al mondo agricolo, ponendo l’accento su quella che è stata l’esperienza che più lo ha segnato, quella più stimolante, quella come dirigente del mondo agricolo vicino ai coltivatori e mezzadri della Toscana, sua terra adottiva, dentro le loro case, nelle loro aziende imparando a conoscerne i valori che tanto gli ricordavano la terra natia. Da lì parte la sua attività di creatore e ideatore di progetti vincenti, come l’Associazione nazionale delle città dell’olio fondata nella sua Larino, di cui è ideatore e Presidente onorario, giusto per citarne una, oltre che di incarichi prestigiosi, in particolar modo quella come Segretario Generale dell’Ente Mostra Vini - Enoteca italiana di Siena.
Dopo questa doverosa premessa, cercherò di analizzare, a grandi linee, il contenuto del volume, anche attraverso le parole dell’autore, cercandone spunti di riflessione.
“Serve l’agricoltura per uscire dalla crisi”, è questo il filo conduttore che accomuna la raccolta di articoli contenuti nel volume, pubblicati su stampa locale e nazionale, cercando di riscoprire la centralità della stessa all’interno di un contenitore straordinario che è il territorio. Paradossalmente, in un momento storico segnato da un costante e lento abbandono dell’attività agricola, a cui fa seguito una diminuzione significativa della superficie coltivata per esigenze che nulla hanno che fare con le produzioni agricole, c’è una parte dell’agroalimentare che dà lustro e rafforza il brand “Made in Italy” anche attraverso la riscoperta di territori straordinari, quel terroir, termine tanto caro ai transalpini, che è il contenitore e l’espressione della qualità. Mi riferisco, naturalmente, al vino e al ricco patrimonio in biodiversità viticola, unica al mondo, che si traduce in un numero di denominazioni d’origine straordinarie per qualità ed espressione territoriale, che portano il nostro paese, tenendo conto anche degli altri comparti, a primeggiare in Europa e nel mondo. In effetti, a voler essere precisi, dei punti deboli ci sono anche nel settore enologico e sono legati, per lo più, a cattive strategie di marketing, figlie di campanilismi e scelte produttive che poco tutelano territori e biodiversità. In tal senso andrebbe fatto di più e meglio, come lo stesso autore ne è testimone nella sua puriennale esperienza in materia promozionale, cercando di porre al centro il territorio, straordinario contenitore di cultura, storia e tradizioni. Anche il Molise non si sottrae da tale logica, anche se la riscoperta di una propria identità enologica, attraverso la Tintilia, frutto anche della scommessa di un manipolo di giovani produttori, quei giovani che l’autore esorta a “utilizzare l’agricoltura per programmare il proprio futuro”, ha gettato le basi per fare uscire la regione e il suo straordinario territorio, che Di Lena individua come “caso studio di ruralità in ambito nazionale”, da una sostanziale situazione di anonimato. Non tanto perché lo dice il sottoscritto, anche se la mia recente esperienza in proposito fatta di viaggi studio nei più importanti territori enologici italiani e francesi ne conferma la situazione, ma perchè sono gli stessi produttori a confermarlo, come ho potuto constatare di persona all’ultimo Vinitaly. Abbiamo un territorio ed una vocazionalità, se vogliamo, potenzialmente superiori a molte aree più blasonate, anche se scelte scellerate ne hanno in parte violentato l’aspetto e fiaccato l’anima. Purtroppo i numeri ci sono contro, sia in termini di bottiglie prodotte che di territorio vitato, in forte contrazione per via di estirpazioni massicce, figlie di una realtà cooperativistica per lo più fallimentare o ai margini del settore. E’ necessaria, quindi, un’opera di promozione che accomuni tutte le realtà produttive regionali in un unico marchio e perché ciò sia possibile ci vuole coesione e comunità d’intenti, anche da parte di chi ritiene la cosa come un freno o una zavorra, avendo già un proprio brand affermato che nulla a che fare con il territorio. Mi riferisco ad una situazione inaccettabile riscontrata al Vinitaly, di cui ho già avuto modo di parlare nel mio blog in questo articolo, dove alcune aziende hanno preferito sistemazioni diverse da quella messa a disposizione dalla Camera di Commercio della Regione Molise (già microscopica se confrontata ad altre realtà). Altra nota dolente che l’autore rimarca e che il sottoscritto condivide, è l’utilizzo della Tintilia come mero strumento commerciale, decretando, di fatti, la nascita di obbrobri che nulla hanno a che fare con la storia del vitigno, come il rosato, lo spumante o il passito, oltre alla possibilità di estenderne il disciplinare ad areali che, storicamente, nulla hanno a che fare con la coltivazione del vitigno. Non a caso, ad un seminario sul progetto “Talento” a cui ho preso parte, il responsabile marketing con un sottile sogghigno ironico mi ha chiesto se eravamo riusciti in Molise a fare uno spumante a base di Tintilia ed io, non senza imbarazzo, ho dovuto annuire senza batter ciglio. Neanche questa è la strada giusta per valorizzare un territorio e le sue peculiarità, cercando di inseguire mode o estremizzando la tecnica enologica con winemaker (enologi) di grido, ottenendo solo il risultato di dare un’immagine distorta della realtà. I riconoscimenti e le professionalità ci sono, un territorio invidiabile e un patrimonio storico-culturale di primissimo livello anche, manca solo un amalgama sapiente dei singoli ingredienti per poter emergere, sotto un unico marchio o brand.
Pasquale Di Lena |
Cosa che invece è in fase di lancio, di cui lo stesso autore ne è l'ideatore, è un progetto di promozione, questa volta in campo oleario, con la creazione del marchio Molisextra che raccoglie singoli produttori e realtà cooperatistiche, con l’unico obiettivo di promuovere l’olivicoltura e l’olio molisano, che passa attraverso la tutela del territorio e del paesaggio olivicolo, dei borghi e dei dialetti che accompagno un rituale antico in una terra che ha fatto la storia dell’olivicoltura. In questo caso la Regione Molise è un vero e proprio scrigno di ricchezze con ben 18 varietà autoctone, tra cui spicca l’Aurina di Venafro, quella che gli antichi romani conoscevano come “Licinia” in omaggio al grande condottiero Licinio che la introdusse, nel IV secolo a.C., in quel territorio straordinario che è il “Parco storico dell’olivo di Venafro”. E poi l’altra cultivar storica, la Gentile di Larino, vero simbolo dell’eccellenza regionale e della relativa DOP.
L’olio, il vino e altre eccellenze alimentari sono un vero e proprio patrimonio del nostro paese, l’essenza della nostra cucina e l’espressione più alta della dieta mediterranea (patrimonio culturale dell’umanità, UNESCO), non a caso il Ministro Ornaghi considera le nostre eccellenze alla stregua dei beni culturali, come lo steso autore più volte sottolinea. La nostra regione rappresenta, quindi, un piccolo scrigno in ricchezza di prodotti e ruralità (olio, vino, tartufo, salumi, formaggi e latticini), quello che potrebbe essere un esempio per tutti attraverso la riscoperta dell’agricoltura (regione con il miglior rapporto abitante/territorio rurale) e la sua centralità, attraverso la creazione di infrastrutture ricettive, opera di promozione e marketing gestita da consorzi di tutela, che non siano semplici entità astratte di facciata, creazione di percorsi turistici ed enogastronomici tra borghi e territori, tra tratturi e cantine, non tramite quelle fredde tabelle sparse per le vie della regione.
Concludo riassumendo quello che è stato il messaggio della giornata, che l’autore e gli altri interlocutori hanno voluto trasmettere ad una platea composta soprattutto da studenti dell’Istituto Agrario, futuri interpreti del mondo agricolo. I giovani hanno in mano il futuro e devono saper cogliere l’opportunita di rimettere al centro l’agricoltura, sia come programmazione del proprio futuro, sia per dare lustro a produzioni preservando ruralità, territori e cultura, ma anche perché il mondo ha bisogno di attività agricola come principale fonte di alimentazione. Una corretta gestione del comparto, attraverso un minor uso di energie e risorse (impatto ambientale), elimando gli sprechi, figli di un’economia di profitto, potrà far fronte alla fame nel mondo, tema centrale che la Fao ha sviluppato in questi giorni a RIO+20 con il tema: “Verso il futuro che vogliamo: fermare la fame e attivare la transizione verso sistemi agricoli e di cibo sostenibile”.
Sebastiano Di Maria
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